Se l’invidia della tredicesima fosse un peccato canonicamente riconosciuto, sarei un peccatore degno di un apposito girone dell’Inferno. Nelle settimane in cui i dipendenti pubblici, quelli privati e i pensionati si vedono accreditata la tredicesima mensilità, a me sale un’acidità di stomaco che nessun Maalox ha la capacità di placare.
Il motivo è banale: io non ricevo alcuna tredicesima. Anzi, peggio.
Dal 1991 al 2014, in quanto dipendente di una azienda privata, ne ho sempre goduto assaporandone i benefici effetti. Pagavo l’assicurazione dell’auto in scadenza, un paio di bollette, poi qualche bel regalo in famiglia, un ricordino per gli amici, buste con danaro a figli e nipoti.
Poi però l’azienda nella quale lavoravo ha chiuso i battenti. Mi sono ritrovato a 48 anni ad avere un’unica soluzione per restare a galla: aprire una partita IVA e mese dopo mese, fattura dopo fattura, imparare la dura legge della giungla del lavoratore autonomo.
Ho così imparato che il Natale è per me il momento più difficile dell’anno.
È quello in cui hai appena pagato gli acconti fiscali, che ti hanno prosciugato il conto e quindi ti impediscono di fare ciò che hai sempre fatto: andare baldanzoso per negozi, scialacquare con misura e goderti in pace il Santo Natale.
Certo, ci sono sempre i mille euro di fido bancario a fare da trincea, ma passare da «che bello arriva la tredicesima» a «attento a non esaurire il fido» ce ne corre.
Non sono nato imprenditore di me stesso, e forse non lo diventerò mai, ma nulla come il Natale mi mette di fronte a una “diversità” lavorativa che pesa come un macigno. Ho una tassazione agevolata. Inutile negarlo, senza quella sarei già crollato da tempo. Però, un dato ormai mi è chiarissimo: la crisi iniziata vent’anni fa e mai rientrata ha tracciato nel mondo del lavoro un solco sempre più profondo tra garantiti e non garantiti.
La valanga di miei coetanei che attorno al 2010 ha chiuso con il lavoro dipendente e ha aperto una posizione fiscale in proprio, il più delle volte boccheggia. Non apro la parentesi dell’ex lavoratore dipendente, diventato autonomo, separato con figli, perchè altrimenti tocca scrivere un’appendice a “I miserabili” di Victor Hugo. Questi ultimi, senza una rete familiare o amicale che li sostenga vanno dritti alla mensa della Caritas.
Il lavoro dipendente, persino la pensione, anche nelle loro forme meno privilegiate, danno certezze e garantiscono diritti. Compreso quello di godersi il Natale.
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