“Per trasformare un acquario in una zuppa di pesce servono dieci minuti, basta farlo bollire. Il problema è che nessuno sa come si faccia a tornare indietro”. Questa immagine, coniata all’epoca della caduta del Muro come metafora delle difficoltà del ritorno da un’economia statalizzata a un’economia di mercato, descrive efficacemente la situazione dell’Italia post-elezioni. La zuppa di pesce è il rischio dell’impossibilità di formare un governo, in un momento in cui un governo sarebbe più che mai necessario. Vediamo, tanto per cominciare, i dati – e i vincoli – del contesto.

1. Il primo vincolo è quello politico: i numeri usciti dalle elezioni – come sulla base dei sondaggi era largamente prevedibile ma non è stato previsto – non danno una maggioranza al Senato, e ne costruiscono alla Camera una artificiale, in quanto fondata su un vantaggio di soli 125.000 voti, per la coalizione guidata dal Pd. Inoltre, una campagna elettorale condotta in un clima di aspra contrapposizione e promesse vaghe quanto non verificabili – eludendo ogni scelta concreta e difficile – rende oggi assai più arduo un accordo. Infine, il successo del Movimento 5 Stelle, divenuto per un pugno di voti il primo partito alla Camera in termini di consenso, combinato al dato di fatto che il quasi pareggio fra centro-destra e centro-sinistra si è verificato all’insegna di un’imponente emorragia di suffragi per entrambi gli schieramenti, fa sì che nessuno possa rivendicare una legittimazione incontestabile a definire soluzioni.

Il secondo vincolo è di natura istituzionale: come spiega bene Stefano Ceccanti nel suo blog su Huffington Post, la combinazione di calendari fissati dalla legge (i tempi per l’insediamento delle nuove Camere e la scadenza a maggio del mandato del Presidente Napolitano, per effetto della quale egli non potrebbe sciogliere un parlamento appena eletto) e bicameralismo perfetto (necessità che la fiducia al governo sia votata da entrambe le Camere) disegna un sentiero strettissimo, e spunta le “armi” istituzionali per la soluzione della crisi, ove quelle politiche si dimostrassero inefficaci.

Il terzo vincolo è quello dei mercati finanziari: le dimensioni del debito pubblico italiano sono tali per cui se il costo del suo servizio cresce significativamente la finanza pubblica salta – e con essa quella già massacrata delle famiglie e delle imprese, nonostante tutte le sciocchezze ascoltate in campagna elettorale sullo spread. Il tonfo delle borse e l’impennata dello spread dopo le elezioni erano da mettersi in conto, così come si può mettere in conto adesso qualche giorno o qualche settimana di attesa. Ma appunto non c’è da farsi illusioni, di giorni si tratta o al più di qualche settimana, in cui si dovrà far capire che la finanza pubblica resterà sotto controllo e che l’Italia sa dove sta andando. Se questo non dovesse avvenire, torneremmo al novembre 2011, e peggio. Né c’è da contare più di tanto sul sostegno delle Bce, in assenza di un governo che garantisca il rispetto degli impegni presi con l’Europa.

2. La sostanza di questo ragionamento è che c’è poco tempo per trovare una soluzione all’impasse, che è insieme politica, istituzionale e di finanza pubblica. E dunque la via d’uscita più ovvia in una situazione di questo tipo – prendersi tempo appunto, lasciar decantare le cose, rinviare la formazione del nuovo governo a quando le asprezze della campagna elettorale saranno dimenticate – non è assolutamente praticabile. Quali possono essere, allora, gli scenari? Proviamo a ragionarci.

Un primo punto sembra chiaro. Al momento, e salvo clamorose novità, ciò che si può escludere è un governo di legislatura. Il governo che nascerà – se nascerà – sarà comunque destinato a vita breve. Parliamo di mesi – il prossimo autunno o se le cose dovessero complicarsi troppo addirittura giugno; al massimo di un anno, ossia  fino alla primavera del 2014, quando si voterà per le elezioni europee. Un anno peraltro richiede una maggioranza in grado di approvare una legge di bilancio, il che al momento si prospetta complicato.

Un secondo punto è altrettanto evidente. Allo stato attuale e in termini numerici le maggioranze possibili sono solo due: quella composta da centro-sinistra e Movimento 5 Stelle e quella cosiddetta di grande coalizione, composta da centro-sinistra e centro-destra. Sempre dal punto di vista numerico, la lista Monti è irrilevante.

3. Per fare una maggioranza, tuttavia, non bastano i numeri, ci vuole anche un minimo di consenso sulle cose da fare. E puntualmente la prima opzione, prospettata ventiquattr’ore dopo il voto dal segretario del Pd Pierluigi Bersani, è stata respinta al mittente da Beppe Grillo; la seconda, auspicata a quanto parrebbe dall’ex premier Silvio Berlusconi, è stata preventivamente respinta al mittente da Bersani stesso. Questo si può anche comprendere – fa parte, come si dice, della pretattica, altrimenti detto gioco del cerino. Ma torniamo al punto da cui eravamo partiti. C’è tempo per la pretattica? C’è spazio per le modalità e ritualità di un sistema politico abituato a vivere all’insegna del “a pagare e a morire c’è sempre tempo”?

Mettiamo pure nel conto che nei prossimi giorni la classe politica italiana sarà sottoposta a fortissime pressioni europee perché una soluzione credibile si trovi, visto che una crisi finanziaria italiana farebbe correre un rischio enorme a tutta l’Europa. Mettiamo anche nel conto che pressioni verranno esercitate sullo stesso Beppe Grillo e sugli eletti 5 Stelle, e anzi che queste siano già in corso. Resta il fatto che per uscire da una situazione come questa ci vuole immaginazione, visione, passione e integrità. Tutte qualità che non pare abbondino nella classe politica italiana.

Torneremo nei prossimi giorni ad analizzare sia il risultato elettorale sia gli scenari politici. Molti commenti in circolazione peccano di superficialità e soprattutto dell’illusione che sia possibile fare rewind, tornare indietro, ritrasformare in acquario la zuppa di pesce. La verità è che quel che è fatto è fatto. Ora si tratta di uscirne: ma per questo non servono alchimie consunte bensì la capacità di agire e di scegliere.