Il 21 ottobre si è tenuto al Centro Einaudi un seminario sulla crisi. Sono intervenuti Giuseppe Russo sull'esplosione dei debiti pubblici e privati; Giorgio Arfaras sull'impatto della demografia. La scorsa settimana abbiamo riportato le grandi linee del primo intervento, questa settimana riportiamo quelle del secondo.
L'impatto dei debiti pubblici deve ancora arrivare. E le grandi decisioni politiche debbono ancora essere prese. Questa è la conclusione del ragionamento, che ci apprestiamo ad articolare.
Il rapporto fra il debito pubblico e il PIL è un indicatore molto seguito per giudicare la qualità del debito di un paese. Esso però ha il difetto di indicare l’andamento pregresso, non quello futuro. Si abbiano due paesi. Uno con un gran debito pubblico e la riforma delle pensioni volta a contenerle già in essere. L’altro con un piccolo debito pubblico e la riforma delle pensioni volta a contenerle ancora da intraprendere. Invecchiando la popolazione, il debito pubblico del primo paese cresce, mentre il debito pubblico del secondo paese cresce di più. Se la popolazione invecchia molto velocemente e il sistema delle pensioni non è riformato, il secondo paese si trova alla fine dei decenni della proiezione con un debito pubblico maggiore di quello del primo paese.
L’esercizio consiste nel proiettare il bilancio pubblico a legislazione invariata per osservare che cosa accade nel corso dei decenni (1). Se la popolazione invecchia velocemente, come le statistiche demografiche mostrano, allora aumentano gli oneri pubblici. Nel 2060 in Europa dovrebbe esserci un pensionato ogni due lavoratori, e non uno ogni quattro come avviene oggi.
L’esercizio continua facendo i conti sul saldo primario (la differenza fra uscite ed entrate prima del pagamento degli interessi) che deve essere ottenuto per impedire che il debito pubblico esploda. Per il primo paese (quello col gran debito e le riforme già fatte) si avrà un saldo primario contenuto, per il secondo (quello con un piccolo debito e le riforme da fare) un saldo primario di notevole entità. Si possono complicare i calcoli e aggiungere oltre alla spesa per pensioni anche quella per la sanità, che è in forte crescita per effetto dell’invecchiamento della popolazione (l'Italia è fra i paesi messi meglio – per quanto questo possa suonare incredibile).
L'ottenere un saldo primario positivo elevato, non è, ovviamente, un processo politico semplice.
Ci si potrebbe chiedere come mai la crescita del debito pubblico sia insostenibile. Come si vede dal succitato rapporto della Banca dei Regolamenti Internazionali a pagina nove, di questi tempi la Gran Bretagna spende per pagare gli interessi sul debito pubblico, il 5% del PIL. In assenza di manovre di correzione, nel 2050 finirebbe col pagarne il 30%, un numero prossimo al complesso della spesa pubblica. Si capisce che un’economia in cui la spesa pubblica è quasi tutta volta a pagare gli interessi sul debito non sta in piedi. Non potrebbe, infatti, pagare i soldati, i giudici e i poliziotti, ossia le figure professionali dello “stato minimo”. Figurarsi lo “stato sociale”.
Arriviamo al finanziamento della spesa pubblica. Esso può avvenire: 1) tagliando le spese e/o alzando le imposte; 2) non facendo niente e godendo di una crescita miracolosa; 3) non facendo niente, non godendo di una crescita miracolosa, con i sottoscrittori del debito pubblico in continua espansione che lo sottoscrivono solo a tassi crescenti. In quest’ultimo caso, il peggiore, i debiti pubblici esplodono e ovviamente il merito di credito degli stessi peggiora. Esiste anche una quarta possibilità, ma ne parleremo dopo.
Nel terzo caso (immobilità senza crescita miracolosa) i giudizi migliori – quelli di “tripla A” – quasi scompaiono intorno al 2030. Insomma, l’invecchiamento della popolazione peggiora i conti pubblici, che, non corretti, portano i debiti pubblici a livelli tali che i paesi che li emettono diventano dei debitori poco credibili. I rendimenti richiesti salgono, peggiorando i conti pubblici. I debiti sono quindi declassati dalle agenzie di rating. Nel caso peggiore, nel 2030 il giudizio di rating peggiore – quello detto speculative grade – è pari al 60% dei debiti pubblici emessi, contro il 20% di oggi (2).
Il futuro del debito pubblico è questo, a meno di correzioni robuste. Le correzioni robuste non sono ovviamente semplici da attuare. Le grandi manovre sui conti pubblici non sono perciò quelle di oggi, legate al peggioramento dei conti pubblici per la crisi in corso, bensì quelle di domani.
Ma s’è detto che esiste anche una quarta possibilità per portare sotto controllo la dinamica del debito pubblico. Bloccare il suo costo in maniera artificiale, lasciando correre un tasso d’inflazione non necessariamente elevato. Questa scelta è stata esercitata in passato. Per esempio, in Gran Bretagna subito dopo la seconda guerra mondiale, quando il debito pubblico era giunto a livelli abnormi, fu emesso debito senza scadenza definita (il “perpetual debt”) con una cedola bassa, pari al 2,5 per cento, che è un rendimento inferiore all'inflazione che si poteva prevedere (3). Come che sia, la casistica dei debiti portati sotto controllo schiacciando i rendimenti sotto il tasso d’inflazione è piuttosto ampia (4).
Il punto è che alla fine qualcuno pagherà i costi dell'aggiustamento dei bilanci pubblici. Chi pagherà di più o di meno sarà deciso nell'arena politica: i cittadini come fruitori di servizi pubblici ridotti e/o i cittadini con maggiori imposte e/o i cittadini come sottoscrittori di obbligazioni.
Fonti:
(1) BIS Working Paper 300, The future of public debt: prospects and implications, 2010.
(2) Standard & Poor’s, Global Aging 2010. An Irreversible Truth, 2010.
(3) Morgan Stanley, Ask not Wheter Governments Will Default, but How, 2010.
(4) Carmen Reinhart, M. Belen Sbrancia, The Liquidation of Government Debt, NBER, 2011.
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