Martedì 8 novembre la Commissione europea ha chiesto al governo italiano – e specificamente al ministro Tremonti – di dettagliare contenuti, strumenti e tempi di applicazione delle misure promesse dal Presidente del Consiglio al G20 di Cannes (in materia di umiliazione, i 39 quesiti sono una lettura interessante).
Per quel poco che se ne sa, queste misure dovrebbero almeno in parte essere contenute nel cosiddetto “maxi emendamento” alla legge di stabilità.
Il Ministro, però, aveva abbandonato l'Ecofin di Bruxelles (l'incontro dei ministri europei dell'economia) ed era tornato a Roma. Per cominciare a scrivere una risposta, si potrebbe pensare. E invece no: per partecipare al voto della Camera dei deputati sul rendiconto dello stato. Il quale voto è finito con la certificazione del dissesto. Non dei conti dello Stato, bensì della politica.
Il problema italiano può essere espresso in termini brutalmente semplici: la maggioranza che nel 2008 aveva vinto le elezioni oggi non esiste più, senza che se ne veda un'altra all'orizzonte. Questo, e solo questo, spiega le singolari “dimissioni postdatate” di Berlusconi: di fatto, se una qualunque ipotesi alternativa martedì fosse stata sul tavolo – e il tempo per prepararla non è mancato, se è vero che la prima sfiducia politica a Berlusconi è stata tentata senza successo nel dicembre 2010, ossia undici mesi fa – il Presidente Napolitano oggi avrebbe già in corso le consultazioni per la formazione di un nuovo governo.
L'Italia ha un problema immediato, e uno di lungo periodo: quello immediato è tornare a finanziare sui mercati a tassi accettabili il proprio debito; quello di lungo periodo è riportare in equilibrio il rapporto debito/pil, sbilanciato più per la mancata crescita del pil che per quella eccessiva del debito. È evidente, tuttavia, che una situazione frutto di trent'anni di mancate scelte non si risolve in tre settimane.
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