Ha fatto molto discutere nei giorni scorsi la decisione del Tribunale di Venezia di sollevare questione di legittimità costituzionale sull'art. 21 della legge 24 gennaio 1979 n. 18, così come modificata dalla legge 20 febbraio 2009 n. 10, ossia su quell'articolo della legge elettorale per le elezioni europee che fissa al 4 percento la soglia di sbarramento perché un partito possa essere rappresentato al Parlamento europeo.
1. Secondo il Tribunale di Venezia, che si è espresso su doglianza dell'avvocato Felice Besostri, già autore del ricorso sul cosiddetto Porcellum, la questione sarebbe non manifestamente infondata, dal momento che «non appare sostenuta da alcuna motivazione razionale che giustifichi la limitazione della rappresentanza. Il Parlamento europeo, infatti, non ha il compito di eleggere o dare la fiducia ad alcun governo dell'Unione, al quale possa fornire stabilità di indirizzo politico e continuità di azione». Il ragionamento del giudice a quo può stupire e ha senz'altro lasciato interdetti molti costituzionalisti italiani, ma non può essere bollato come del tutto irragionevole.
Il Tribunale di Venezia pare infatti fondare le proprie argomentazioni sull'autorevole giurisprudenza del Tribunale costituzionale federale di Karlsruhe che ha, a più riprese, dichiarato incompatibile con la Legge fondamentale la soglia di sbarramento per le elezioni europee, prima quella del 5 percento e poi, lo scorso febbraio, anche quella del 3 percento. Secondo i giudici costituzionali teutonici l'asticella viola l'eguaglianza del voto degli elettori e la pari opportunità dei partiti sanciti dagli articoli 3 e 21 del Grundgesetz.
2. A differenza delle elezioni per la Camera bassa del Parlamento tedesco (Bundestag), dove la soglia di sbarramento al 5 percento è stata più volte dichiarata conforme a Costituzione, dal momento che deve consentire a tale organo di legiferare e di poter dar vita ad un Governo, nel caso del Parlamento europeo valgono considerazioni diverse. Secondo i giudici, l'aumento dei partiti con uno o due deputati rappresentanti al Parlamento europeo non sarebbe infatti suscettibile di pregiudicarne la capacità di operare. Il rischio che la formazione di una maggioranza in seno al Parlamento europeo sia resa più difficile non può essere in alcun modo paragonata al caso del Parlamento nazionale, atteso che al Parlamento europeo i diversi gruppi parlamentari consentono molto più facilmente di integrare al loro interno deputati con visioni eterogenee. A ciò deve aggiungersi che il regolamento del Parlamento europeo contribuisce ad evitare ogni frammentazione, visto che un gruppo può essere formato solo se vi aderiscono almeno venticinque deputati. Secondo i giudici, i deputati dei partiti minori potranno quindi aderire con una certa facilità ai gruppi parlamentari già esistenti, senza alimentare spaccature in seno all'assemblea e senza poter impedire la formazione di maggioranze.
Infine, sostengono i giudici di Karlsruhe, va tenuto conto che le funzioni del Parlamento europeo non equivalgono a quelle classiche di un parlamento nazionale. Anche dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che pure ha attribuito nuove competenze al Parlamento in materia di legislazione ordinaria e di approvazione dei bilanci, Strasburgo continua a non poter imporre le proprie delibere alla Commissione europea. La permanenza in carica di questa non dipende infatti dall'esistenza di una maggioranza stabile in Parlamento, il quale conserva tratti molto più consociativi di qualsiasi parlamento nazionale.
Per il professor Stefano Ceccanti, le argomentazioni “nazionaliste” di Karlsruhe non saranno probabilmente recepite dalla Corte costituzionale italiana. E questo, a suo dire, perché, a differenza della Germania, l'assenza di sbarramento nel nostro paese produrrebbe una frammentazione tale da rendere la nostra rappresentanza politicamente inconsistente.
3. Ammesso e non concesso che ciò sia vero, resta da capire se garantire che la rappresentanza italiana non sia frammentata sia un motivo sufficientemente razionale, oltrechè giuridicamente fondato e fondabile. La sensazione è che si utilizzino categorie altrettanto “nazionaliste” per giustificare la rappresentanza al Parlamento di alcuni partiti e non di altri.
In ottica europeista, sembra più interessante chiedersi quali conseguenze avrà una sentenza della Corte che smentisca le elaborazioni di Karlsruhe. Di certo, all'asimmetria delle regole con le quali i cittadini scelgono i propri rappresentanti si aggiungerà anche l'asimmetria tra i giudicati delle Corti.
Sarebbe allora sin d'ora più sensato incominciare a ragionar politicamente di un'unica legge elettorale europea. Fintantoché gli Stati membri avranno il potere di legiferare autonomamente in materia, infatti, sarà molto difficile poter definire il Parlamento europeo come l'assemblea deliberativa in cui siedono i rappresentanti del popolo europeo e non, più prosaicamente, come un'assemblea composta dalla somma di tanti rappresentanti nazionali.
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