“Possa tu vivere in tempi interessanti” è ritenuta essere la traduzione di in antico proverbio – e maledizione – cinese. Seguita in ordine di gravità crescente da altre due: “possa tu essere notato da coloro che sono al potere” e, per chiudere, “possano i tuoi desideri essere esauditi”. Per quel che riguarda gli italiani, il primo auspicio è sicuramente soddisfatto; al secondo ciascuno risponde a titolo individuale; quanto al terzo… possiamo ancora sperare.
Sui giornali e nei talk-show analisi e scenari politici si sprecano. Soprattutto, ci si esercita a ricostruire, sulla base di informazioni più o meno riservate, quali obiettivi stiano perseguendo i diversi protagonisti della crisi e quali percorsi stiano immaginando per arrivarci. Ora, non si può escludere in via teorica che qualcuno abbia in testa una soluzione e un modo per conseguirla. Noi però ci permettiamo di dubitarne. Quello che si richiede oggi, infatti, è una via di uscita efficace dallo stallo – capace cioè di cominciare a risolvere i problemi che lo hanno provocato – trovata la quale si troverà pure la strategia per metterla in atto.
Ma è proprio questa che manca. A una settimana dal voto, infatti, lo scenario non si è schiarito. Le ipotesi possibili per la formazione di un governo – grande coalizione fra Pd e Pdl e coalizione Pd-M5S, entrambi in varianti più “politica” o più “tecnica” – sono sempre le stesse, ma nessuna delle sue si è avvicinata di un passo. La prima perché finora almeno a parole a volerla sarebbe il solo Pdl, mentre il Pd rifiuta anche solo di prenderla in considerazione. La seconda, specularmente, perché a volerla sarebbe solo il Pd, mentre il M5S rifiuta anche solo di prenderla in considerazione. La differenza fra le due è che mentre la prima resta inespressa sullo sfondo, della seconda si è largamente discusso – anzi, praticamente non si è parlato d’altro – ma senza fare neanche un passo avanti verso la sua effettiva realizzazione. Sicché, continuando così, fra poco sarà a tutti gli effetti “bruciata”. E dopo?
Premesso che sul dopo fare previsioni è davvero azzardato, proviamo a ragionare a partire dai dati di fatto, che restano quelli di una settimana fa – il vincolo politico, il vincolo istituzionale, il vincolo di finanza pubblica.
1. Sul piano politico, è stato il segretario del Pd Pierluigi Bersani a fare la prima mossa. Però, in una situazione di assoluta incertezza, l’uscita che uno poteva immaginarsi prudente e riflessiva è stata invece immediatamente durissima, ultimativa: o alleanza con il M5S o elezioni, e per di più configurata come se questa fosse l’ultima chance offerta a Beppe Grillo per riparare il torto compiuto con il successo elettorale. Ha prontamente fatto coro il presidente della Puglia Nichi Vendola, che con il 3,2 per cento conquistato da Sel si è auto-collocato “all’avanguardia” del M5S, indicandogli la via della salvezza, ossia di un governo comune.
Che Grillo abbia risposto come ha risposto non è strano. Che cosa spiega, invece, le uscite improvvide di Bersani e Vendola? Verosimilmente un riflesso condizionato: l’idea cioè che, primo, se c’è una rivoluzione non può che essere di sinistra; secondo, che l’estremismo è una malattia infantile, e quelli che sanno possono curarla; terzo, che chi ha votato M5S sia un “compagno che sbaglia”, e dunque vada riconquistato e/o inchiodato alle sue responsabilità qui e subito. Delle tre, non si saprebbe dire quale appare più assurda, e più lontana della realtà. Per inciso, il successo del M5S è stato particolarmente consistente nel Nord-Est (la cosiddetta “Zona Bianca”) e al Sud, ed è avvenuto a spese non solo del Pd ma anche di Pdl e Lega Nord. Ciò che stupisce, lo ripetiamo, non è tanto l’incapacità di escogitare soluzioni – queste, evidentemente, sono complicatissime – bensì, più banalmente, l’incapacità di leggere dati di realtà che alla fine sono sotto gli occhi di tutti.
Veniamo al Pdl. La scelta di stare coperti per il momento può funzionare. Ma non funzionerà per sempre. Non funzionerà, soprattutto, quando insediate le nuove Camere si dovrà cominciare a ragionare di cariche istituzionali e, subito dopo, di prospettive di governo con il presidente Napolitano. Non si possono d’altra parte dimenticare, anche qui, tre punti fermi: il primo sono i guai giudiziari di Berlusconi, che continuano; il secondo è l’improponibilità di Berlusconi medesimo per qualunque ruolo di governo che implichi la sua interlocuzione con i partner europei; il terzo è la netta vittoria in Lombardia, al Senato e nelle elezioni regionali, che gli consegna la rappresentanza di una regione senza la quale – o contro la quale – è difficile pensare di poter governare l’Italia. Tanto per semplificare le cose.
2. Sul piano istituzionale, si sono ascoltate in questi giorni ogni sorta di fantasie. Per chi ha l’età di ricordarselo, pare di essere tornati indietro di trent’anni, ai mandati esplorativi e ai governi del presidente, in quanto distinti dai governi tecnici, dai governi istituzionali, dai governi di scopo e via specificando. Si è parlato di una mandato a termine o di una prorogatio di Napolitano; della possibilità che si insedi un governo senza aver avuto la fiducia da entrambe le Camere; della possibilità che il governo Monti rimanga in carica per il solo disbrigo degli affari correnti (leggasi, cosucce come politica economica, interlocuzione con l’Ue, legge di bilancio, eccetera) mentre nel frattempo il parlamento per conto suo si occuperebbe di produrre norme “anti casta”.
L’elenco è certamente incompleto. La verità, di nuovo, è che se non si vuole uscire dalla Costituzione occorre che si formi – se c’è – una maggioranza per votare la fiducia al governo e un’altra (o la stessa) per eleggere un Presidente della repubblica. Come nel gioco dell’oca, torniamo alla casella precedente. C’è una simile maggioranza?
3. Sui mercati finanziari, nel frattempo, pare essersi stabilita una temporanea tregua. Forse perché si ritiene che i conti italiani siano almeno per un altro po’ di tempo in sicurezza, dopo le manovre del governo Monti; o perché si ha fiducia nel fatto che una soluzione alla fine verrà fuori; o infine perché si ritiene che a seguito del risultato politico italiano l’Europa si metterà paura del contagio e modificherà le politiche di rigore. Forse per una di queste ragioni, forse per nessuna di queste. Ma, di nuovo, non c’è da attendersi che la quiete duri.
4. E allora? Non intendiamo aggiungere congetture a congetture, retroscena a retroscena. Sarà Matteo Renzi a salvare l’Italia, sarà Corrado Passera, sarà Beppe Grillo, sarà Giorgio Napolitano? Non sarà nessuno di questi, o saranno tutti, e noi con loro. Attraverso quale strada? Azzardiamo un pronostico.
Prima ipotesi. Si costituisce un governo in qualche forma appoggiato da Pd e Pdl: e questo governo per non farsi travolgere dovrà fare qualcosa per sostenere il ciclo economico (ed è perciò che avrà bisogno di una condivisione europea) e qualcosa per tagliare il costo della politica, e dell’apparato pubblico in generale (e per questo avrà bisogno della non ostilità di Beppe Grillo). Il governo si dà un anno di tempo, e nella primavera del 2014, in coincidenza con le elezioni europee, si torna a votare.
Seconda ipotesi. Non c’è modo che un governo si formi. Il parlamento elegge un presidente che come primo atto scioglie le Camere. Si torna a votare a giugno, senza aver cambiato la legge elettorale, ma con un’offerta politica notevolmente modificata rispetto ad oggi. Niente lista di centro, per dirne una; la Lega Nord che a questo punto potrebbe davvero decidere di passare la mano e non presentarsi alle elezioni; una coalizione di centro-sinistra guidata da un leader che non sarà certo Bersani, e potrebbe, ma non è detto, essere Renzi; un centro-destra invece ancora guidato da Berlusconi, se le sue vicende giudiziarie non avranno in un modo o nell’altro messo un punto alle sue ambizioni politiche.
Terza ipotesi. Una qualche forzatura costituzionale, che consenta di prolungare la melina.
Alla prima ipotesi ostano il risultato in sé delle elezioni, e il fatto che quelli stessi che hanno creato questa situazione ingestibile dovrebbero miracolosamente scoprirsi capaci di sbrogliare la matassa. Alla seconda, il dato che andare a votare è un rischio per tutti, compreso Beppe Grillo che come si vede ha già il suo daffare a digerire un consenso del 25 per cento, e non è detto sia pronto a prendersi la maggioranza relativa. Alla terza fa da ostacolo, fin tanto che c’è, il presidente Napolitano.
Mettiamoci dei numeri di probabilità. 20 per cento che un governo si formi, 60 che si torni a votare a giugno e 20 che si trovi la soluzione per la melina.
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