I prezzi delle azioni salgono così come quelli delle obbligazioni. Entrambi i mercati sono mossi dall'idea che la politica monetaria rimarrà lasca. Un'idea che nasconde una previsione (ovvio), ma anche una sopra valutazione (quasi una credenza) del ruolo (salvifico) dei tassi di interesse. L'idea è che questi siano in grado di sostenere gli andamenti dell'economia ed anche di lenire gli effetti delle crisi politiche (1). Quest'idea, potrebbe rivelarsi pericolosa nel caso di una crisi (2).
Nel campo delle obbligazioni sono tornati in auge i rendimenti negativi. I rendimenti bassi (Italia) o negativi (Germania) favoriscono - anche se possono disincentivare il varo di politiche fiscali che tengano conto del lungo periodo - il servizio del debito pubblico, ma non servono gli altri interessi, come quelli dei fondi e delle assicurazioni (3). Nel campo delle azioni abbiamo una concentrazione degli utili in alcuni settori e nelle grandi imprese. Non abbiamo quindi un andamento corale (4). Gli utili – pimpanti quando concentrati in pochi settori e imprese, ma che non lo sono quando presi nel complesso – non muovono più di tanto i prezzi delle azioni che, invece, variano a seconda delle aspettative sui tassi, come si è visto nella seconda parte del 2018 e nel prima parte del 2019 (5).
Insomma, i mercati finanziari sono oggi come un'auto che continua a correre, ma che non si sa bene se, in caso di necessità, sia in grado di frenare rimanendo stabile.
Approfondimento sul mercato delle azioni (di Stefano Puppini)
Il semestre che si è appena concluso è stato particolarmente brillante per i mercati finanziari. Anzi, è stato forse il più brillante da parecchio tempo. Il mese di giugno è stato per l’indice S&P500 il migliore dal 1955. Ancora più eccezionale è il fatto che quasi tutte le classi di investimento registrano un andamento positivo da inizio anno. Solo il valore dell’argento è sceso nel primo semestre del 2019 di un misero 1,2% mentre i valori di euro, sterlina e yuan sono rimasti invariati rispetto al dollaro. Vincitrice assoluta è stata la Borsa di Atene, cresciuta di oltre il 40%, mentre petrolio, Nasdaq, Shangai, Mosca e Milano sono più alti di almeno il 20% rispetto ai valori del 31 dicembre scorso. Nel caso dei mercati azionari, che sono sempre i più delicati e sensibili in virtù del loro maggiore spessore inteso come volume di negoziazione, la gran parte della vicenda è stata trainata dalle grandi società quotate.
In particolare, delle quasi 1700 società dell’indice MSCI mondiale meno di un centinaio sono le trascinatrici delle Borse e tutte di grandi dimensioni, con valore di mercato superiore ai 50 miliardi di dollari. Quelle ancora più grandi, oltre i 100 miliardi di dollari, hanno addirittura recuperato la discesa di fine 2018 mentre le società di minori dimensioni, sotto i 5 miliardi, sono lontane dal recuperare la caduta dell’anno scorso. Non sembrano esistere parametri chiaramente visibili della natura di questi fenomeni. La politica monetaria non più restrittiva o nuovamente espansiva ha senz’altro dato una mano all’effervescenza finanziaria; come il permanere di livelli di rendimenti non solo bassi ma eccezionalmente negativi, soprattutto per la dimensione del fenomeno, potrebbe essere la base per una ricerca di nuovi rendimenti che se riesce a coinvolgere attività virtuali come le cripto valute può a maggior ragione coinvolgere anche le attività finanziarie meno innovative. Una parte altrettanto significativa delle ragioni del fenomeno può essere imputata alla crescita incessante degli ETF (Exchange-Traded Funds). Ormai il numero dei fondi azionari americani, ETF compresi, è pari al numero delle società quotate statunitensi e questo fenomeno potrebbe rappresentare un collo di bottiglia in cui l’offerta di materia prima azionaria tende a non essere sufficiente di fronte alla crescente domanda, spiegando in qualche modo il successo ‘commerciale’ delle grandi capitalizzazioni rispetto alle realtà minori.
Le obbligazioni, l'Italia, la tecnologia (di Giorgio Arfaras)
La stabilità dell'auto, alias dei mercati finanziari, dipende dai tassi e dai rendimenti bassi o nulli. Perché i tassi (a breve) e i rendimenti (a lungo termine) sono così bassi? Si hanno due scuole di pensiero. La prima sostiene che i tassi e i rendimenti non torneranno al livello storico per effetto della così detta “stagnazione secolare” - i.e. una combinazione di crescita modesta e di demografia dove prevalgono gli anziani. La seconda sostiene che le banche centrali hanno alzato poco i tassi quando c'era ripresa e li hanno abbassati molto quando non c'era. Questa asimmetria altera i comportamenti dei mercati. Una volta che si sia accumulato molto debito – sia privato sia pubblico - con dei tassi e dei rendimenti compressi, diventa difficile per le banche centrali alzare i tassi, perché metterebbero in crisi il sistema. Gli operatori, come conseguenza, scommettono che questi rialzi, se ci saranno, saranno contenuti.
Per quel che riguarda il Bel Paese il deficit pubblico è stato ridotto con delle operazioni di natura straordinaria e quindi sono state evitate le sanzioni europee. I problemi di fondo non sono stati sfiorati. Questi ultimi sono il “nanismo” delle imprese e la Questione Meridionale (6).
Abbiamo la politica economica e i mercati finanziari, come vicende da capire e affrontare nel breve termine. Ma abbiamo i problemi di fondo dell'economia reale, quindi di lungo termine. Qui le cose si complicano per effetto dell'esaurirsi del ciclo di crescita durato molti decenni dalla fine della Seconda Guerra. Il nodo è il passaggio dall'economia detta “fordista” a quella detta della “conoscenza” (7). Ai tempi dell'economia fordista – quella delle grandi concentrazioni industriali – si aveva un addensamento dei redditi entro il ceto medio. I redditi dei lavoratori qualificati e dei lavoratori non qualificati differivano poco. Con l'economia della conoscenza – quella dove sono premiati solo i lavoratori qualificati, mentre gli altri sono diventati dei precari – i redditi dei primi e dei secondi si divaricano. Non solo, ma dovremmo assistere, almeno per qualche tempo, ad una domanda del lavoro non qualificato in caduta. Un argomento questo di grande complessità che comincia ad essere studiato (8). Questi nodi intricati sono al centro dell'”economia al tempo del Populismo” (9).
1 - https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/5141-la-magia-dei-tassi.html; https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/5147-la-magia-dei-tassi-seconda-parte.html
2 - Negli Stati Uniti il bilancio federale può essere usato per ridurre le escursioni economiche dei singoli Stati. Quelli che vanno bene non debbono pagare altri sussidi di disoccupazione ed hanno lo stesso gettito fiscale. Essi finanziano i trasferimenti verso gli Stati che vanno male, quelli che hanno dei nuovi sussidi di disoccupazione da pagare a fronte di un minor gettito fiscale. Se poi questi trasferimenti automatici fra stati non fossero sufficienti, si può subito formare per finanziarli un deficit a livello federale. Nell'Euro-area nulla di tutto ciò è possibile. I Paesi che, per effetto della recessione, vanno in deficit, debbono ridurlo, con ciò indebolendo ulteriormente la domanda aggregata. Negli Stati Uniti la Federal Reserve si può muovere subito. Per la Banca Centrale Europea le decisioni sono meno veloci. La traduzione operativa di quanto detto è che nel caso di una recessione la reazione dell'Europa dovrebbe essere meno veloce rispetto a quella statunitense, come peraltro già avvenuto dieci anni fa: http://www.limesonline.com/crisi-economica-finanziaria-2008-subprime-usa/110348? A differenza di dieci anni fa i tassi di interesse però sono molto bassi e quindi non possono essere tagliati per bilanciare un'eventuale recessione, mentre i debiti pubblici sono molto alti. Un'eventuale nuova recessione non sarà facile da affrontare: https://www.economist.com/special-report/2018/10/11/central-bankers-will-fight-the-next-recession-with-their-backs-against-the-wall. Infine, una crisi grave si affronta meglio con la cooperazione, ciò che al momento è difficile da immaginare: https://www.economist.com/special-report/2018/10/11/in-fighting-the-next-recession-politics-will-be-crucial
3 - https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/ricerche/5156-rieccoli-i-tassi-negativi.html; https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/ricerche/4547-tassi-e-rendimenti-aggiornamento.html
4 - Previsioni che non dovrebbero ragionare come se il mondo fosse “corale”, e non “concentrato”. La gran crescita della borsa statunitense trova una spiegazione nell'esplosione dei prezzi dei titoli tecnologici insieme al loro peso negli indici, piuttosto che nell'andamento delle imprese nel loro complesso. Per avere una idea dell'importanza delle imprese tecnologiche nel trascinare la borsa, anzi “le” borse, si fissi a 100 il valore degli indici al 1° gennaio 2015. Da allora il NYSE è cresciuto del 17%, lo S&P500 il 37%, il Dow Jones il 47%, il Nasdaq Composite il 60% e il Nasdaq 100 il 70%. Insomma, più gli indici danno peso alla tecnologia più l'economia statunitense appare “pimpante”. Esempio contrario, fatto pari a 100 il livello degli utili lordi e netti di tutte le imprese statunitensi alla fine del 2007, quindi prima della crisi, si ha un livello di 100 e di 140. Insomma, gli utili lordi o “operativi” non sono cresciuti, mentre sono cresciuti gli utili “netti”, quelli che tengono conto degli oneri da interessi e delle imposte, due voci che sono state compresse con forza. Segue dall'analisi che la dinamica degli utili va concentrandosi. E molto più di quanto comunemente si immagini. Se si prendono i profitti anomali – quelli che superano un rendimento ragionevole del capitale – questi sono concentrati nella tecnologia e nella farmaceutica degli Stati Uniti: https://www.economist.com/special-report/2018/11/17/dynamism-has-declined-across-western-economies. Al resto del mondo poco avanza.
7 - https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/5111-dall-economia-fordista-a-quella-della-conoscenza-%E2%80%93-1%C2%B0-puntata.html; https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/5114-dall-economia-fordista-a-quella-della-conoscenza-%E2%80%93-2%C2%B0-puntata.html
8- Carl Benedikt Frey, The Technology Trap, Princeton & Oxford, 2019
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