Ho cambiato la traccia della prima lezione della Scuola di Liberalismo rispetto a quella pubblicata su Lettera Economica in due puntate il 14 e il 20 febbraio 2020. Ecco la nuova versione, forse più efficace per rendere l'idea di quel che sta accadendo.
Il mondo senza far menzione del populismo
1 - La diseguaglianza
Si hanno quelle relative alla distribuzione del reddito (banalmente chi guadagna di più chi di meno), e quelle relative alla distribuzione del patrimonio (banalmente chi è più ricco e chi lo è meno). Con le diseguaglianze patrimoniali che sono maggiori, perché il tasso di crescita della ricchezza è maggiore del tasso di crescita del reddito (dell'economia).
Secondo alcuni le diseguaglianze vanno ridotte per mano politica, perché chi ha meno può avere di più solo grazie all'esercizio del diritto di voto. Secondo altri, invece, le diseguaglianze vanno lasciate correre, perché il mercato incorpora dei meccanismi automatici di correzione, per cui con lo sviluppo le diseguaglianze diminuiscono.
Una correzione delle diseguaglianze non prodotta dal mercato in via automatica è possibile. E' il caso delle correzioni delle diseguaglianze iniziali che sorgono dall'intervento pubblico – il cosiddetto “welfare state”. I meccanismi di mercato agiscono lo stesso, ma il reddito è meno diseguale.
Una riduzione completa e permanente della diseguaglianza, ossia l'egualitarismo assoluto, non ha mai avuto successo. Il tentativo più famoso è quello sovietico.
Eguaglianza e Religione. Se per eguaglianza si intende poi che “ciascuno riceve quanto merita” abbiamo l'esperienza della Religione, che nega questa possibilità, perché si ha sempre una discrepanza fra “merito” e “destino”.
2 - Il lavoro al posto della rendita
In Europa – dal XIX° secolo fino alla Grande Guerra - il possesso del capitale (immobiliare e mobiliare) generava un reddito (rendite fondiarie, affitti, dividendi, cedole) cospicuo. Dalla Grande Guerra fino ai primi anni Cinquanta del '900 il peso del capitale in Europa si è contratto, perché l'inflazione ha quasi azzerato il valore delle obbligazioni e si è assistito a una crisi notevole delle imprese, quindi delle azioni, oltre alla perdita delle rendite coloniali. Questi sommovimenti nel corso di qualche decennio – quelli fra le due guerre mondiali - hanno abbattuto il capitale e quindi il reddito dei ricchi. Nel secolo scorso finisce l'epoca del rentier, ossia di chi viveva agiatamente senza lavorare. Nel Secondo Dopoguerra, sempre in Europa, mentre si comprime il peso dei ricchi, il ceto medio accumula un patrimonio significativo, soprattutto immobiliare. Si ha perciò in cima un mondo di ricchi, ma meno ricchi di quanto fossero in passato, in mezzo si ha un mondo benestante, e, alla base, si ha chi possiede una ricchezza modesta o nulla, ma che è protetto dallo Stato Sociale.
I redditi da lavoro nel XIX° secolo non potevano avvicinarsi al reddito da capitale quando questo era corposo, e dunque, se uno avesse avuto la possibilità di sposarsi bene, ossia di entrare nel mondo dei rentier, non gli sarebbe convenuto lavorare. Le strategie per vivere bene senza lavorare (l'“appendere il cappello”) sono state raccontate in letteratura con grande precisione. Negli Stati Uniti la situazione nella prima parte del XIX° secolo era diversa: una concentrazione della ricchezza minore di quella europea, perché la terra era abbondante (la rendita fondiaria era bassa) e perché chi emigrava non aveva ricchezze (nessuno nasceva ricco). Negli Stati schiavistici del Sud le cose non erano però molto diverse da quelle europee. Gli Stati Uniti hanno poi registrato una concentrazione crescente della ricchezza fino agli anni Venti dello scorso secolo – l'epoca del “Grande Gatsby”. Con la Grande Depressione, la concentrazione di patrimoni si è ridotta, ma molto meno che in Europa, per poi ripartire dagli anni Ottanta. Con una novità: la concentrazione di ricchezza è alimentata anche dagli enormi redditi da lavoro dei dirigenti delle grandi aziende. Un fenomeno che comincia a palesarsi anche in Europa.
I redditi da lavoro ben pagati nel XXI° secolo possono avvicinarsi al reddito da capitale quando questo non è troppo corposo. Si ha così la possibilità di guadagnare molto, e dunque si può, a differenza del passato, non ereditare – i.e. nascere “bene” - e/o sposarsi bene – i.e. “appendere cappello”. In breve, oggi si può nascere “male” e sposarsi “per amore”.
Le donne hanno oggi una istruzione crescente, così come una libertà crescente. L'economia è tendenzialmente meritocratica. Ergo le donne istruite alla lunga sono ben retribuite ed allo stesso tempo preferiscono gli uomini con le stesse caratteristiche. Abbiamo il cosiddetto “assortative mating”. Nasce perciò nelle fasce sociali “meglio messe” un nuovo canale ereditario: oltre alla eventuale ricchezza, si hanno anche l'istruzione superiore e le relazioni “che contano”. La quale istruzione e le relazioni consentono ai figli delle coppie dove le donne e gli uomini sono allo stesso livello elevato di istruzione e reddito quantomeno di mantenere la posizione sociale ed economica dei genitori.
Fonte: https://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/4799-ineguaglianza-e-femminsmo.html
3 - La distruzione creatrice
Non basta evocare “la crescita”. Il passaggio senza soverchie difficoltà dai settori vecchi a quelli nuovi è un fenomeno che si è manifestato quando la domanda di qualificazione era abbastanza modesta – si pensi ai braccianti diventati operai di linea. Se la domanda oggi è quella di lavori che sono o molto qualificati o poco qualificati, con quelli nel “mezzo” - quelli né troppo né troppo poco qualificati - che non sono richiesti, allora la crescita economica non dovrebbe essere in grado per sé stessa di assorbire la manodopera “di mezzo”. La crescita economica - anzi per essere precisi lo sviluppo - non suddivide la sua variazione in misura eguale in tutti i settori, chiedendo delle competenze che sono in larga misura quelle esistenti. Lo sviluppo privilegia, al contrario, e soprattutto oggi, alcuni settori e chiede competenze specifiche.
La conclusione economica del ragionamento sulla tecnologia si articola così: A) le tecnologie più moderne non assorbono una manodopera generica, ma solo qualificata; B) i servizi offerti ad una popolazione in parte ricca e diffusamente anziana si espandono, generando dei posti lavori a bassa qualificazione; 3) mancano perciò le occupazioni “di mezzo”; C) si dovrebbe avere per assorbire queste occupazioni una crescita dell'economia nei settori tradizionali. Per esempio, le banche che riaprono migliaia di agenzie, nonostante l'uso sempre più diffuso dei servizi telematici, i negozi che tornano numerosi, nonostante l'ampliarsi della distribuzione telematica; e via enumerando i molti esempi si un ritorno al passato. Assumere che si possa tornare ad avere le tecnologie desuete (il gettone telefonico?) è però poco realistico.
La conclusione politica del ragionamento si articola così: A) vi sarà una pressione crescente da parte dei disoccupati, che non sono pochi – il diritto di voto è uno strumento per ottenere, partendo dall'arena politica, dei benefici economici. Se si somma chi ha rinunciato a cercare lavoro con chi è alla ricerca di un lavoro, si ha un tasso di (ovunque) disoccupazione che è circa il doppio di quello diffuso e commentato dai media; B) una pressione crescente dei disoccupati potrebbe portare ad un blocco della diffusione delle nuove tecnologie, come già avvenuto, ma con scarso successo, nel passato. Se anche ci fosse questo congelamento, si avrebbe solo un'espulsione di dimensioni minori e con un passo più contenuto della manodopera con una qualificazione “di mezzo”; C) negli Stati Uniti i Populisti hanno vinto dove gli indicatori di salute sono i peggiori, in Gran Bretagna dove i legami con l'Unione Europea sono maggiori, in Francia fra le persone meno istruite, meno in salute e meno benestanti.
4 - La divaricazione nel mondo giovanile
Attenzione però. Il presente sarà precario ed il futuro incerto per giovani, ma non per tutti. L'enorme ricchezza accumulata passa con l'eredità alle nuove generazioni. O meglio ad alcuni. Perciò si ha la diseguaglianza fra i fortunati baby boomers e i meno fortunati millenials, ma si ha anche la diseguaglianza fra millenials.
Uno stock di ricchezza delle famiglie consente a un numero significativo di giovani di avere degli orizzonti lunghi. Con questa espressione si intende che alcuni non hanno necessità immediata di lavorare per vivere. L'implicazione è che si possono scegliere i lavori. Ossia, si può anche restare disoccupati - perché tanto si hanno i mezzi – per dei periodi lunghi, finché non si trova il lavoro che si desidera. Certi servizi si debbono però avere lo stesso. Quelli meno attraenti sono offerti dagli immigrati. Perciò si ha una piramide che al vertice ha le famiglie benestanti con annessi i “bamboccioni”, che studiano, vanno lavorare tardi, e che, in ogni modo, vivono molto a lungo. I “bamboccioni” benestanti, se sono disoccupati, lo sono quindi da “volontari”. In mezzo si hanno quelli che, venendo da famiglie non benestanti, non possono scegliere con calma il lavoro che preferiscono, e dunque, se non lavorano, sono dei disoccupati “involontari”. Alla base si hanno gli immigrati. I quali ultimi, non hanno diritto di voto. Un ritorno alla società “signorile”, ma questa volta, e a differenza del passato, “di massa”.
Per la Francia si hanno serie statistiche lunghe e attendibili. Per gli altri Paesi europei i numeri sono simili. Quindi il ragionamento tiene per l'Europa. Si calcola quanta parte di ogni generazione riceva un flusso ereditario (la punta della piramide) che sia equivalente al reddito di tutta una vita del 50% meno remunerato della popolazione (la base della piramide). Per esempio, se l'eredità è di 750 mila euro, essa equivale a cinquanta anni di lavoro del 50% meno remunerato, il cui reddito è intorno ai 15 mila euro l'anno. Come si vede, si ha, grazie alla ricchezza cumulata negli ultimi decenni da un numero crescente di famiglie, un numero sempre maggiore di persone che eredita l'equivalente di 50 anni di lavoro di chi nasce senza ereditare nulla. Ecco in forma grafica i numeri della “società signorile di massa”.
5 - le ondate migratorie
Si può misurare la differenza fra gli svedesi ricchi e quelli poveri, così come quella fra i congolesi ricchi e quelli poveri: si ha così la differenza fra le classi di reddito all'interno di un Paese. Si può anche immaginare la differenza fra lo svedese medio ed il congolese medio: si ha così la differenza per luogo di nascita. Quale delle due differenze conta per davvero? La gran parte degli umani – nonostante le migrazioni, nasce e muore nello stesso paese. La notevole differenza fra il reddito medio della Svezia e quello del Congo esiste quindi fin dalla nascita. Possiamo chiamare questa differenza "rendita di cittadinanza". Una differenza che dipende dalla fortuna. E', infatti, molto difficile pensare che quando aspettavamo sulla nuvola l'arrivo della cicogna conoscessimo la risposta giusta: vogliamo nascere in Svezia! Facendo i conti – il reddito pro capite a parità di potere d'acquisto espresso in dollari – si scopre che lo svedese medio ha un reddito che è pari al triplo di quello del congolese medio. Il risultato cambia se si mettono a confronto gli svedesi poveri con i congolesi poveri. Il reddito dello svedese povero si avvicina a quattro volte quello del congolese povero.
Fatta la premessa arriviamo al dunque: gli statunitensi ricchi sono più ricchi degli svedesi ricchi, ma gli statunitensi poveri sono più poveri degli svedesi poveri. Un congolese che emigra in Svezia e resta povero può avere un reddito che è quattro volte quello del paese che abbandona. Il congolese che, invece, va negli Stati Uniti rischia di avere un reddito eguale a quello dei poveri statunitensi, che è sempre meglio di quello di quello dei congolesi poveri, ma è inferiore a quello degli svedesi poveri.
Segue che, se è avverso al rischio, emigra in Svezia. Segue che, se è propenso al rischio, emigra negli Stati Uniti. Detto con più precisione, se ha un basso grado di istruzione, e se l'istruzione è all'origine dell'ascesa sociale, sceglierà la Svezia, perché può aumentare il suo reddito senza rischiare troppo. Se, invece, ha un alto grado di istruzione, e se l'istruzione è all'origine dell'ascesa sociale, sceglierà gli Stati Uniti, perché può aumentare il suo reddito rischiando molto. L'emigrazione a bassa istruzione andrà così verso i paesi con stati sociali diffusi, mentre quella ad alta istruzione verso i paesi con alta mobilità sociale. Che è proprio quel che sta avvenendo.
Ho cercato di mostrare la razionalità economica di uno che fugge poniamo dall'Africa povera. Mal che gli vada vivrà da povero in Europa molto meglio che da povero o addirittura da ceto medio nel suo Paese d'origine. Se, invece, decidesse di restare in patria dovrebbe scommettere che in un tempo abbastanza limitato avrà - con lo sviluppo del suo Paese – gli stessi beni e servizi che ha oggi in Europa. Una scommessa difficile. E' difficile, infatti, credere che si possa recuperare un divario formatosi nei secoli in pochi decenni.
Chi emigra ha ragione, laddove “ragione” va intesa come razionalità economica, ossia “razionalità rispetto allo scopo”. Chi emigra, inoltre, è agito da una sana “volontà di potenza” che lo spinge a esplorare l'ignoto. Non è però così semplice.
Quel che è razionale a livello individuale non lo è nell'aggregato – la famosa “fallacia della composizione”. L'età mediana degli europei è oggi il doppio di quella degli africani, e la crescita demografica dovrebbe portare nel tempo l'Africa ad avere una popolazione doppia rispetto ad oggi. Una bomba demografica, in due parole. Gli africani se fossero in gran numero – un numero diverse volte maggiore di quello corrente - non potrebbero emigrare.
Non è quindi razionale l'emigrazione africana di massa, mentre, come abbiamo visto, è razionale l'emigrazione degli africani a livello individuale o in un numero, alla fine, limitato. Abbiamo qui una contraddizione oggettiva fra l'individuale ed il collettivo. Se è razionale l'emigrazione individuale, ma non è razionale l'emigrazione di masse sterminate, allora chi in Europa accetta che quest'ultima si materializzi non è razionale rispetto allo scopo, ma è razionale rispetto al valore.
Il mondo facendo menzione del populismo
Secondo Tocqueville - non De la Démocratie en Amérique, ma ne L'Ancien Régime et la Révolution - la chiave del successo di Jean-Jacques Rousseau è stata la capacità di aver racchiuso l'oggetto della battaglia politica nella contrapposizione fra Ragione e Tradizione. Laddove Tradizione era Ingiustizia e Diseguaglianza, mentre Ragione era Giustizia e Eguaglianza. Oggi la Tradizione è diventata Liberismo e quindi Ingiustizia, mentre Ragione è il Popolo che porta Giustizia.
Mentre è facile mostrare e convincere l'uditorio con una teoria che è utile e che è (superficialmente) evidente, all'opposto, è ben più complesso mostrare e convincere l'uditorio con una teoria che sia vera. Un esempio di dimostrazione difficile da far passare sono le teorie che sostengono che il sotto-sviluppo è il frutto di meccanismi interni non inclusivi, mentre le spiegazioni popolari sono centrate sullo sfruttamento degli indigeni da parte degli avidi conquistatori. Per esempio, il Risorgimento che diventa il tentativo del Regno di Sardegna di appropriarsi delle riserve auree del Regno delle Due Sicilie.
Più precisamente, una teoria falsa avrà seguito, perché basta che sia confermata da alcuni fatti e non dall'analisi di un numero significativo di fatti. Bastano, infatti, per convincere solo alcuni fatti, soprattutto quelli subito evidenti. Per esempio, con pochi esempi ad effetto – la sporcizia, le violenze, eccetera, si può mostrare come la fusione di autoctoni ed eteroctoni non può esserci e dunque che è razionale dichiararne l'impossibilità.
Il (o un ...) motore della storia da tempo è lo sviluppo graduale dell'eguaglianza delle condizioni – concetto espresso sempre da Tocqueville. Nasce con l'eguaglianza delle condizioni l'”uomo democratico”. Quest'ultimo negli anni Trenta era vestito da '”uomo della strada”, mentre oggi è diventato ”uomo social”. L'eguaglianza delle condizioni non va vista in termini materiali, come se fosse l'eguaglianza del reddito e/o del patrimonio. L'eguaglianza delle condizioni è qualche cosa in più, che spinge alla ricerca del benessere individuale, perché disancora l'Io dalla Comunità. Meglio, si ha prima l'individuo che si disancora dalla comunità e poi l'individuo che affoga nella massa.
Fonti: https://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/4865-la-ribellione-delle-masse-virtuali.html; https://www.centroeinaudi.it/ricerche-e-progetti/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4258-eurabia-e-societ%C3%A0-aperta-2.html; https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4146-l-emersione-dell-individuo.html
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