Questo commento settimanale è sul ministro del Tesoro Tim Geithner, quello precedente era su Citigroup, che seguiva quello sul convulso dibattito, sempre negli Stati Uniti. Al solito si trovano i link per gli approfondimenti.


La prima crisi in cui Tim Geithner, ministro del Tesoro statunitense, si trovò invischiato fu quella asiatica, alla fine degli anni Novanta. Allora il giovane funzionario dell’Amministrazione Clinton si fece notare per la sua abilità nello sciorinare soluzioni con una buona dose di aggressività. Conosceva bene l’Asia, Geithner, ci aveva vissuto per anni, parlava cinese e al campus dell’Università di Dormuth si aggirava con i tipici braccialetti thailandesi al polso. Giocava in casa.

Nel giugno del 2007 Geithner era già capo della Fed di New York e aveva cominciato a chiedere maggiore trasparenza alle banche sui loro derivati. Allora tenne un discorso in cui ribadì che, in caso di crisi – e la crisi era alle porte (1) – avrebbe voluto adottare l’approccio già adottato negli anni Novanta, la cosiddetta “dottrina Powell applicata alla finanza internazionale: un uso massiccio della forza con una chiara strategia per uscire dalla crisi”. Soprattutto, cominciò a chiedere alla Fed (2) di mettere mano ai tassi, cosa che Ben Bernanke era convinto di non dover fare.

Il “golden boy” dell’economia con tendenza liberal sembra già aver perso il suo tocco, anche se da allora non sono passati neppure due anni. Nel suo primo discorso da ministro dell’Amministrazione Obama, il 10 febbraio scorso - un discorso considerato quasi tragico, perché fu seguito da un tonfo in Borsa di quasi cinque punti percentuali (3), Geithner ha detto sì di voler usare la forza – trilioni di dollari di forza – ma non ha lasciato intendere di avere una chiara strategia per uscire dalla crisi (4). I detrattori affermano che non potrà mai trovarla, una strategia: è parte del problema, non può risolverlo.

Da capo della Fed di New York non soltanto non aveva capito che la crisi non era una battuta d’arresto di alcune banche ciclopiche bensì un tarlo devastante del sistema, ma non aveva nemmeno controllato che banche e banchieri evitassero gli eccessi poi tristemente emersi dopo il collasso di Lehman Brothers a settembre. Lehman, anzi, è il suo peccato originale: era con il suo predecessore, Hank Paulson, e il suo ex capo Ben Bernanke, presidente della Fed, la notte in cui si decise di lasciare fallire la banca, fallimento che poi si è rivelato disastroso. “Non possiamo salvare con soldi pubblici una banca privata piena di inefficienze”, disse Geithner. Ma non aveva capito l’interdipendenza del sistema né che era stato innescato un effetto domino devastante. Ecco perché di fronte all’imminente collasso di AIG (5), la troika si terrorizzò e cambiò idea. Decise che avrebbe salvato il supermarket assicurativo AIG e con esso anche parecchie altre banche. Era l’inizio del famoso bail-out da 700 miliardi che a oggi non ha ancora dato grandi risultati. Il peccato originale – l’incapacità di comprendere che non stava saltando una banca, ma un sistema di scambi – rende Geithner, agli occhi di molti, un ex golden boy peraltro troppo in continuità con l’Amministrazione Bush, uno schiaffo alla speranza e al cambiamento dell’era obamiana.

Ad aggravare la posizione del ministro del Tesoro c’è anche la sua solitudine. Il suo dicastero è vuoto, non ci sono vice, non ci sono assistenti, non ci sono consulenti, ci sono a malapena le segretarie. Con chi si consulta Geithner? I giornali americani parlano di un asse fortissimo con il suo padrino professionale, Larry Summers, capo consigliere economico di Obama. In più ci sarebbe un suo personale governo ombra di una cinquantina di persone che sono gli esperti che vorrebbe nominare al Tesoro ma che, tra uno stanziamento e l’altro, non è ancora riuscito a coinvolgere. Con gli altri non correrebbe buon sangue – dicono – non certo con un pezzo da novanta come Paul Volcker, ex presidente della Fed e Grande Vecchio del team economico di Obama, con cui ci sarebbe stato più di uno screzio. Paul Krugman (6), premio Nobel per l’economia e opinionista del New York Times, ha chiesto al ministro al Tesoro di consultare qualcuno, ché il momento è grave, non è bene stare soli. L’appello non è stato raccolto, mentre sul comodino del ministro è comparso un libro su Henry Morgenthau, ministro del Tesoro di Franklin D. Roosevelt, l’unico ad aver affrontato, come Geithner, una crisi così grave.

(1) http://www.centroeinaudi.it/commenti/anna-karenina-e-i-mercati-finanziari.html

(2) http://www.centroeinaudi.it/commenti/i-complotti-immaginari.html

(3) http://www.centroeinaudi.it/notizie/il-piano-geithner-e-le-reazioni-della-borsa.html

(4) http://www.centroeinaudi.it/commenti/una-griglia-per-seguire-la-crisi-bancaria.html

(5) http://www.centroeinaudi.it/notizie/dopo-citi-riecco-aig.html

(6) http://www.centroeinaudi.it/commenti/conigli-e-mammut.html