Dopo aver passato in rassegna, nei Commenti settimanali precedenti (1) (2), il «paternalismo libertario», che sembra essere la filosofia economica e politica dell’amministrazione Obama, cerchiamo oggi di rendere il clima polemico che si respira negli Stati Uniti sulla crisi finanziaria in corso.

 

Eliot Spitzer, decaduto governatore di New York per banali (ma costosissime) storie di sesso, si riesuma (3) affermando che il testo per comprendere la nuova euforia dei mercati finanziari è A Short History of Financial Euphoria, di John Kenneth Galbraith (4). Spitzer è uno che si è costruito una carriera – quella di procuratore generale a New York – con la fama di bulldog di Wall Street, ha buoni motivi per consigliare questo libro.
 
«Ottimismo» è la parola chiave oggi a Wall Street e a Washington: il peggio è passato, e i solerti contabili della Casa Bianca sono costretti a scrivere nella casellina della crescita prevista un numerone – 3,5 per cento entro la fine dell’anno – perché così possono sostenere che il deficit pubblico americano – un altro numerone, questo sì in crescita e pericoloso, 1,84 trilioni di dollari – riuscirà a essere agevolmente coperto prima della campagna per la rielezione di Barack Obama (5). Tutti, dall’Amministrazione alla Fed al Tesoro, oggi cooperano per un futuro prospero.

Scritto dopo la crisi finanziaria del 1987, A Short History of Financial Euphoria racconta come si creano le bolle economiche e come i governi e il mondo della finanza non siano mai capaci di gestirne lo scoppio. Partendo dalla famosa «bolla dei tulipani» del XVII secolo, Galbraith spiega come la combinazione tra la memoria corta della galassia finanziaria e la poca attenzione alle lezioni della storia porti alla continua ripetizione degli errori. «I disastri finanziari vengono dimenticati in fretta», scrive. «Quando le stesse o simili circostanze ricorrono anche nel giro di pochi anni vengono accolte da una generazione nuova, più giovane e sempre piena di se stessa, come se si trattasse di una scoperta brillantemente innovativa».
 
La memoria corta è, secondo Galbraith, patologica. Le circostanze cambiano, ma certo è che qualcosa nella storia del passato serve a comprendere i passi falsi del presente. Per esempio, il fatto che dai tempi di George Washington si possono registrare crisi finanziarie ogni dieci-quindici anni, fino alla Grande Depressione. Dopo di che, Franklin Delano Roosevelt decise di introdurre regole su regole, così nacquero la Glass-Steagall, la separazione fra banche di credito ordinario e d’investimento, la Sec, l’organo di controllo della borsa, e la Fdic, l’ente che assicura i depositi bancari, che garantirono una certa stabilità fino agli anni Ottanta. Poi arrivò la deregolamentazione (ossia la destrutturazione dei sistemi di controllo) in una continua porta aperta tra politica e finanza (sembrerebbe, a posteriori, a vantaggio della seconda), il tutto condito con la cosiddetta easy money, ossia con politiche monetarie espansive. Quando oggi a Wall Street si dice che è arrivato il momento di tirare un sospiro di sollievo, è chiaro che di nuovo la lezione è servita a poco (6). Come ha ricordato Spitzer sempre nell’intervista citata, alla fine questi signori sono tutti lì, come se nulla fosse accaduto. A suo giudizio, a differenza del passato recente – quando gli errori erano, vedi il caso Enron, pagati dagli azionisti –, gli errori oggi sono pagati dai contribuenti. E questa, nei ricorsi delle crisi finanziarie, sembra essere la vera novità.



(1) http://www.centroeinaudi.it/commenti/commento-settimanale-/-xiv.html

(2) http://www.centroeinaudi.it/commenti/commento-settimanale-/-xiii.html

(3) http://vodpod.com/watch/1597308-eliot-spitzer-on-squawk-box-the-big-picture

(4) http://www.amazon.com/Short-History-Financial-Euphoria-Genius/dp/096247455X

(5) http://meganmcardle.theatlantic.com/archives/2009/05/the_risk_of_debt.php

(6) http://www.nytimes.com/2009/05/10/business/economy/10mark.html?_r=2&ref=busines