Tutti – da destra e da sinistra - denunciano la diseguaglianza crescente. La denuncia raramente si accompagna ad un'analisi adeguata. Qui tentiamo l'analisi economica e poi a breve passeremo a quella politica. Lettera Economica volentieri ospiterebbe un dibattito.
1 - Si hanno quelle relative alla distribuzione del reddito (banalmente chi guadagna di più chi di meno), e quelle relative alla distribuzione del patrimonio (banalmente chi è più ricco e chi lo è meno). Con le diseguaglianze patrimoniali che sono maggiori, perché il tasso di crescita della ricchezza è maggiore del tasso di crescita del reddito (dell'economia).
Agli inizi del XIX secolo le differenze di reddito erano elevate all'interno dei Paesi, ma lo erano meno fra i diversi Paesi. Col decollo occidentale – con la prima, e poi con la seconda Rivoluzione Industriale - la differenza fra Paesi occidentali e Paesi non occidentali è diventata enorme. Dagli anni Ottanta del XX secolo, da quando la Cina ha liberalizzato la propria economia, la differenza fra i Paesi occidentali e gli altri, soprattutto asiatici, è andata riducendosi. Il grafico 1 mostra come il ceto medio superiore cinese (il punto A) abbia registrato la massima crescita del proprio reddito, mentre il ceto medio inferiore occidentale (il punto B) abbia mostrato la minor crescita, con i ricchi di tutto il mondo che han visto crescere in misura “cinese” il proprio reddito (il punto C). Insomma, i poveri asiatici sono diventati meno poveri e i ricchi più ricchi. Questa è la variazione nel ventennio 1988-2088, dalla caduta del Socialismo alla crisi finanziaria.
Relative gain gap per income by global income level, 1988-2008 (Milanovic, 2016: 11)
Se passiamo dalle variazioni ai livelli, osserviamo che le differenze assolute fra Paesi - seppur di molto ridotte rispetto al passato - restano. I Paesi non-occidentali hanno, infatti, un reddito pro capite dalle tre alle cinque volte inferiore a quello occidentale – il grafico 2
Disribution of world population by real GDP per capita, 2013 (Milanovic, 2016: 33).
Infine, la succitata diseguaglianza patrimoniale che è maggiore di quella dei redditi. La ragione va cercata nel tasso di crescita del patrimonio che è maggiore del tasso di crescita dell'economia. Si misura l'andamento delle obbligazioni, delle azioni, e degli immobili, sull'arco di un secolo nei Paesi sviluppati. Su archi temporali lunghi le obbligazioni vanno peggio del reddito nazionale, mentre le azioni e gli immobili vanno meglio. Combinando queste tre attività ne viene fuori che la ricchezza cresce più del reddito (1). Alle stesse conclusioni giunge un altro studio (2).
2 - Secondo alcuni le diseguaglianze vanno ridotte per mano politica, perché chi ha meno può avere di più solo grazie all'esercizio del diritto di voto. Secondo altri, invece, le diseguaglianze vanno lasciate correre, perché il mercato incorpora dei meccanismi automatici di correzione, per cui con lo sviluppo le diseguaglianze diminuiscono. Mostriamo intanto il punto di vista della riduzione automatica della diseguaglianza.
Quando una società - come quella primitiva - è al livello di sussistenza, è difficile che possano sorgere delle forti ineguaglianze, perché, in questo caso, una parte della popolazione morirebbe di fame. Morendo di fame una parte della popolazione, si avrebbero meno guerrieri a disposizione, e quindi la società con un'ineguaglianza marcata sarebbe fagocitata da quei nemici che distribuiscono meglio la poca ricchezza. La sopravvivenza “politica” si ha quindi dividendo in misura circa eguale il poco reddito a disposizione.
Dal che si arguisce che l'ineguaglianza sorge e può durare quando si va oltre il reddito di sussistenza, ossia quando si ha un surplus di una qualche consistenza da distribuire. In questo caso, una parte della popolazione – quella povera - comunque sopravvive, mentre una parte – quella ricca - vive molto meglio.
Passando all'era moderna, si usa, per capire le ragioni dell'ineguaglianza, il modello di Simon Kuznetz. Abbiamo un primo periodo in cui le ineguaglianze crescono, perché si ha lo spostamento dall'agricoltura (dove si ha una bassa produttività e quindi bassi redditi) alle fabbriche (dove si ha un'alta produttività e quindi dei redditi maggiori di quelli agricoli). Si alza così la forbice fra i redditi dei settori antichi e di quelli moderni. Nella fase successiva la produttività in agricoltura – grazie alla meccanizzazione ed alla chimica – sale, e quindi salgono i suoi redditi. Anche i salari nell'industria salgono nella fase successiva, perché si esaurisce l'offerta di manodopera liberata dal lavoro agricolo. L'ineguaglianza fra i lavoratori manuali e gli altri - proprietari terrieri, imprenditori, capitalisti – si riduce. Se misuriamo sull'asse verticale l'ineguaglianza, e su quello orizzontale il reddito nel corso del tempo, si ha una curva a “U rovesciata”. Alla crescita iniziale della diseguaglianza (la U rovesciata sale) segue una decrescita nella fase successiva (la “U rovesciata” scende).
Le cose nell'economia sono andate in questo modo fino agli anni Ottanta del XX secolo. Da allora l'ineguaglianza è cresciuta. La curva, invece di essere a “U rovesciata”, come vuole la teoria di Kuznetz, è diventata una curva ad “U normale”. Si può però tentare di mettere insieme le “U” rovesciate e normali, in modo da avere una spiegazione della riduzione della diseguaglianza prima e poi della sua crescita. Questo approccio possiamo definirlo delle “onde (o cicli) di Kuznets”. La parte relativa alla “U rovesciata” è stata appena descritta – il passaggio dall'agricoltura all'industria – ma la miglioriamo, e poi cerchiamo le ragioni della “U normale”. Ecco la logica dell'approccio dei cicli o onde.
Prima della Rivoluzione Industriale il reddito medio cresceva poco o niente, mentre l'ineguaglianza era stabile, perché, in assenza di crescita, la quota dei ricchi sarebbe potuta crescere solo affamando mortalmente i poveri. L'ineguaglianza era perciò stabile, ma poteva scendere – ossia variare - per effetto di eventi esterni - il caso classico è la peste nera. Questi eventi, riducendo l'offerta di manodopera, facevano salire i salari più della crescita del reddito nazionale, e quindi facevano diminuire l'ineguaglianza. Il maggior reddito spingeva i poveri a sovra-procreare, e quindi li spingeva - per effetto della maggior offerta di lavoro nella fase successiva, nella direzione di una riduzione del proprio tenore di vita.
Con la Rivoluzione Industriale aumenta smisuratamente il surplus, ossia la quota di reddito distribuibile senza schiacciare quello necessario per la sussistenza. In questo modo si ha la “magia” dell'ineguaglianza che può salire senza per questo spingere – come accadeva prima - nel baratro chi ha dei redditi bassi.
Le economie avanzate di oggi sono – a differenza di quelle del XIX e XX secolo - soprattutto di servizi e quindi disperdono i redditi più di quelle industriali: i “camerieri” e i “finanzieri” hanno dei redditi molto diversi. Intanto che – sempre a differenza del passato - il lavoro non qualificato si sposta verso i Paesi emergenti. La conclusione è che riprende – dopo l'intervallo fra le due Guerre - a crescere l'ineguaglianza, ma per ragioni “endogene” all'economia, e non “esogene” come le Guerre e le Rivoluzioni del XIX secolo che l'avevano ridotta.
Secondo Walter Scheidel – The Great Leveller (Princeton, 2017), la forte riduzione dell'ineguaglianza nel corso della storia è stata opera dei quattro Cavalieri dell'Apocalisse: guerra, rivoluzione, collasso politico, epidemia. In condizioni normali non si è, infatti, mai registrata una riduzione dell'ineguaglianza. Si veda sul punto anche Thomas Piketty (3) - Le Capitale au XXIe siécle, (Éditions du Seuil, 2013). Laddove si sostiene che la riduzione della diseguaglianza è l'eccezione, mentre la regola è la sua crescita. L'eccezione si è avuta a causa delle due guerre mondiali che hanno impoverito i ricchi, dal 1913 al 1980 circa, mentre in tempo di pace i ricchi accrescono il proprio patrimonio, perché il rendimento del capitale è - come tendenza - maggiore della crescita dell'economia.
(Si noti che, mentre in Cina potrebbe ancora agire la “U rovesciata”– ossia l'incremento dei salari nelle campagne e nelle fabbriche, quest'ultimo per effetto della minor offerta di manodopera proveniente dall'agricoltura, negli Stati Uniti dovrebbe continuare ad agire la U normale, che mantiene o accresce le ineguaglianze).
3 – Una correzione delle diseguaglianze non prodotta dal mercato in via automatica – di cui si è appena parlato - è possibile. Si ha il caso delle correzioni delle diseguaglianze iniziali che sorgono dall'intervento pubblico – il cosiddetto “welfare state”. I meccanismi di mercato agiscono lo stesso, ma il reddito è meno diseguale.
Si ha il reddito di mercato – quello senza trasferimenti e senza imposte, il market income. Si ha il reddito lordo – quello che include trasferimenti ed i servizi dello “Stato Sociale”, il gross income. Si ha, infine, quello netto - eguale al reddito lordo, ma dopo le imposte, il disposable income. Gli indici di Gini (laddove per valori prossimi allo zero si ha eguaglianza, e per valori prossimi a uno si ha ineguaglianza) sono, per ciascun tipologia di reddito, negli Stati Uniti: 50, 45, 40. Si ha quindi una redistribuzione non marcatissima del reddito. In Germania gli indici di Gini per ciascuna tipologia di reddito sono: 50, 35, 30. Si ha quindi una redistribuzione marcata del reddito. La Germania distribuisce un reddito dei fattori (o reddito di mercato) come quello statunitense, ma redistribuisce di più. Se il reddito di mercato in Germania (un paese “socialdemocratico”) è eguale a quello degli Stati Uniti ("il" paese dell'economia di mercato), allora si possono avere i vantaggi del mercato (si assume che premi la “produttività marginale” dei fattori) e dello Stato (si assume che renda meno forti le disparità, con ciò promuovendo l'eguaglianza delle opportunità).
4 – Una riduzione completa e permanente della diseguaglianza, ossia l'egualitarismo assoluto, non ha mai avuto successo. Il tentativo più famoso è quello sovietico.
Nel caso del Socialismo moderno, la diagnosi era che l'ineguaglianza degli umani è il frutto del diverso livello di istruzione e della presenza della proprietà. Perciò, riducendo molto il peso degli intellettuali ed eliminando gli imprenditori, si sarebbe ottenuta l'eguaglianza. Le imprese statali nel socialismo pagavano (relativamente) molto i lavori meno qualificati e poco quelli più qualificati. In questo modo non si aveva un premio per la maggiore istruzione. Ovvio, inoltre, che, abolendo la proprietà, non si potevano avere né le eredità provenienti dalle ricchezze create in passato, né le ricchezze create dagli imprenditori nel presente.
L'esperimento sovietico aveva così creato un'eguaglianza marcata, ma aveva anche frenato gli incentivi a studiare e a rischiare. Si aveva, alla fine, un'economia molto poco innovativa. La scarsa competitività delle economie di stampo sovietico era il frutto non casuale del desiderio di chi comandava – in sostanza i lavoratori manuali e i dirigenti politici figli dei lavoratori manuali di una generazione prima - di “godersi la vita”, lavorando relativamente poco, ed evitando l'impatto delle innovazioni (4). Come abbiamo appena visto, comparando gli Stati Uniti con la Germania, una riduzione significativa ma non assoluta della ineguaglianza, senza che si penalizzi lo sviluppo, è, invece, possibile.
5 – Eguaglianza e Religione. Se per eguaglianza si intende poi che “ciascuno riceve quanto merita” abbiamo l'esperienza della Religione, che nega questa possibilità, perché si ha sempre una discrepanza fra “merito” e “destino”, una discrepanza che tutti hanno avuto modo di osservare.
La discrepanza porta perciò a desiderare che “un Dio verrà – subito o più tardi – e porrà i suoi seguaci nella condizione che meritano” (5). L'eguaglianza fra merito e destino non è perciò – secondo le Religioni – un qualche cosa che si risolverà in questo Mondo.
2 - http://piketty.pse.ens.fr/files/capital21c/pdf/G10.10.pdf
4 - Rita Di Leo, L'esperimento profano. Dal capitalismo al socialismo e viceversa (Associazione CRS, 2012).
5 - Max Weber, Economia e Società, Vol. II, Parte Seconda (Comunità 1974). Capitolo 8: “Il problema della Teodicea”.
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