Dal 1900 al 2017 le attività finanziarie italiane sono state tra le meno redditizie. Su basi annuale e al netto dell’inflazione le azioni italiane hanno reso il 2%, le obbligazioni a lungo termine il -1% e i Buoni Ordinari del Tesoro hanno perso oltre il -3%. Da lato azionario e dei BOT peggio dell’Italia ha fatto solo l’Austria. Nel campo delle obbligazioni Germania e Portogallo sono state persino peggiori dell’Italia (ed anche il Giappone registra rendimenti negativi non molto diversi).
Si può osservare che, in ogni caso, su un arco temporale ultrasecolare le azioni, anche quelle austriache e italiane, sono state in grado di offrire il migliore rendimento per l’investitore. Nei casi più brillanti - Nuova Zelanda, USA, Sudafrica e Australia – il rendimento è stato superiore al 6% annuo. Per pura aneddotica si può notare che la Danimarca è stata il paese che ha offerto il più elevato rendimento obbligazionario, circa il 3% annuo, e monetario, circa il 2%.
Rappresenta quindi un evento non banale il buon andamento assoluto e relativo della Borsa italiana negli ultimi dodici mesi, fenomeno che è confermato nei primi quattro mesi del 2018. Rispetto ai due maggiori paesi della zona euro, Germania e Francia, le ultime cinquantadue settimane sono state nettamente a favore delle società quotate italiane che sono cresciute circa del 15% rispetto a un andamento piatto tedesco e francese.
L’introduzione dei PIR, i Piani Individuali di Risparmio dedicati alle imprese di medie e piccole dimensioni, ha dato senz’altro un contributo, ma senza le società di maggiori dimensioni sarebbe stato difficile realizzare una crescita simile, essendo la Borsa italiana significativamente concentrata nel settore finanziario ed energetico dove dominano le grandi capitalizzazioni. Inoltre, la performance positiva delle società quotate italiane si è realizzata non solo rispetto all’insieme delle società quotate europee ma anche rispetto alle società americane.
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