La maggioranza dei gestori di fondi non riesce a battere gli indici. Ossia gli investimenti “attivi”, quelli che non “mimano” gli indici, perché preferiscono alcuni titoli ad altri, raramente riescono a fare meglio. Dal che si arguisce che allora tanto vale riprodurre gli indici.

 

 

Gli ETF – gli Exchange Trade Funds – sono dei prodotti che riproducono gli indici, nel senso che investono esattamente come la composizione di questi ultimi, e lo fanno con un costo molto contenuto. Abbiamo così gli investimenti “attivi” che in maggioranza non battono gli indici e che costano molto, poniamo il due per cento del patrimonio conferito, perché si deve pagare la ricerca e i gestori, e gli investimenti “passivi” che vanno esattamente come gli indici e che costano poco, poniamo lo zero due per cento del patrimonio, perché sono privi di ricerca e sono prodotti in maniera automatica, perché si debbono pagare una tantum gli informatici.

Il titolo X sale, mentre il titolo Y scende, il primo quindi pesa di più nell'indice ed è comprato, il secondo pesa di meno ed è venduto, e ci pensa “la macchina”. Non interessa sapere se l'ascesa e la caduta siano giustificate, si segue il prezzo come la migliore delle informazioni. Detto diversamente, si pensa che i prezzi riflettano i valori. Nel caso degli investimenti attivi si deve inoltre fare meglio almeno del due cento per cento più dell'indice per avere lo stesso risultato dell'indice, nel secondo si perde lo zero due per cento per fare come l'indice.

Non per caso caso la quota di mercato degli ETF cresce a danno della quota dei fondi. Si hanno però due problemi. Il primo è capire perché si riesce difficilmente a battere gli indici, il secondo è se davvero basti riprodurli.

Per battere gli indici si debbono avere delle informazioni migliori del tipo: la società X andrà bene, mentre quella Y andrà male – quindi compro la prima e vendo al seconda. Informazioni che è difficile avere ed elaborare in maniera sistematica. Più precisamente, una volta si avrà ragione ed un'altra torto, ed i risultati, alla fine, si elideranno. Inoltre, messo anche che queste informazioni “differenziali” - ossia migliori di quelli di cui dispone la media degli investitori - sia possibile averle per primi e di averle poi in maniera sistematica, ossia sbagliandosi poco, dopo qualche tempo tutti cercheranno di averle, e dunque il vantaggio iniziale si annullerebbe.

Quindi non solo si può sbagliare nella scelta ripetuta dei titoli, ma anche qualora ci fosse un modo per fare meglio della media, ecco che scatterebbe il processo imitativo. Il quale ultimo elimina il miglior rendimento, che diventa qualche cosa di temporaneo. Esattamente come accade nella concorrenza nel campo dell'economia detta reale, laddove gli utili sono il frutto di un monopolio temporaneo che viene eliminato dalla concorrenza (Joseph Schumpeter).

Compreso che è davvero difficile battere gli indici non per insipienza, ma per la presenza del meccanismo concorrenziale, resta aperto il vero problema, ovvero se questo basti.

Ammettiamo che l'ETF sulla borsa statunitense sia meglio di un fondo attivo, allora che cosa si fa? Quanta parte del patrimonio va investita nell'ETF azionario? Il 100% se si pensa che la borsa farà delle alternative. Ma non potrà però fare meglio (e non lo ha mai fatto) in ogni sotto periodo. Per esempio nel 2007-2009 la borsa ha fatto molto peggio. In quel sotto periodo sarebbe stato meglio avere le obbligazioni. E dunque quanto si investe in obbligazioni e in liquidità per tener conto delle escursioni dei prezzi delle azioni?

E qui cadiamo nella “asset allocation” ossia la decisione su come ripartire il patrimonio fra le classi di attività. Già ma come si fa a saperlo? Un modo è quello “statistico”: si prendono le relazioni storiche e si decide come ripartire fra le classi di attività. Tecnicamente parlando si stima la “frontiera efficiente”, ossia la miglior combinazione di rischio rendimento. Questa è stimata sulle relazioni passate. Le relazioni passate sono però valide anche per il futuro? In condizioni normali (ciò che avviene frequentemente, ma non sempre) sì, ma in condizioni anomale viene il dubbio che servano a poco. Con i rendimenti delle obbligazioni intorno allo zero – la condizione di oggi che non ha precedenti - è impossibile fare questo calcolo. Quindi torniamo al problema che i mercati finanziari debbono valutare (“prezzare”) il futuro che gli dei forse conoscono, ma gli umani no.

Perciò, alla fine, torniamo alla contrapposizione fra rischio ed incertezza (Frank Knight). Laddove il primo è misurabile, perché ha a che fare con una distribuzione di probabilità chiusa, come il lancio dei dadi, mentre la seconda ha a che fare con una distribuzione di probabilità aperta, come l'andamento del futuro (che per di più non è solo economico - vedi 1). Un concetto quello di probabilità “chiusa” ed “aperta” che si trova già in Keynes nel suo trattato giovanile sulla probabilità.

Tutto questo per dire che la compressione dei costi grazie agli ETF rende meno costoso investire (che non è poco), ma che per sé non risolve il problema di come (fra azioni, obbligazioni, liquidità) investire. Più precisamente, la direzione degli investimenti è quella di combinare gli ETF grazie a degli algoritmi che calcolino la frontiera efficiente. In questo modo si automatizza anche l'asset allocation schiacciandone i costi. Si hanno perciò gli ETF che costano poco e l'Asset allocation che costa poco. Resta però aperto il problema di come valutare il futuro. Se questo è in continuità col passato, allora questo approccio – quello della compressione dei costi - può funzionare, altrimenti costerà poco, ma potrebbe non funzionare.

1 - http://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/4216-ideologia-ed-economia.html