Nel 2013 – elezioni nazionali - e nel 2014 – elezioni europee - si avevano dei progetti molto simili a quelli che sono poi emersi con le elezioni nazionali del 2018. La contrapposizione ai progetti di Forza Italia, del M5S, e del PD di Bersani, che possiamo etichettare come crescita trainata dal settore pubblico, si aveva solo nell'esperienza prima di Letta e poi di Renzi, un'esperienza che possiamo etichettare come “austerità espansiva” - non proprio una novità perché già inaugurata da Monti nel 2011. Insomma, questa è la tesi: ciò che era ben presente ma che non era passato nel 2013 e nel 2014, è dilagato pochi anni dopo. Perché mai?

Già nel 2014 – con le lezioni europee – le idee in campo non erano molto diverse da quelle dell'ultima campagna elettorale. Le elezioni del 2014 vanno messe in relazione con quelle di appena un anno prima, le politiche del 2013. Si avevano allora tre punti di vista che si possono mischiare dentro lo stesso schieramento: 1) gli euro-fobici, 2) gli euro-scettici; 3) gli euro-fili.

Nel caso di Forza Italia l'argomentazione euro scettica non poteva non tener conto della sua adesione al progetto dell’euro per tutto il tempo che - come Forza Italia prima e come PDL poi - ha governato. Perciò per Forza Italia l’euro andava bene, ma a condizione che si fossero fatti “gli interessi dell’Italia”. Ossia che si fosse abbracciata una politica fiscale espansiva, il che tradotto significa con un deficit maggiore. Allora – il QE è stato introdotto dopo nel 2015 – Forza Italia pensava che questa politica potesse essere finanziata dalla BCE che avrebbe comprato le obbligazioni emesse dai Tesori. Si chiedeva anche un euro debole. Una politica - spiegava allora Silvio Berlusconi - che non era originale, perché era già in corso sia negli Stati Uniti sia in Giappone. Possiamo perciò affermare che Forza Italia pensava che, se si fosse cambiata la politica economica nell’euro-area, essa da euro-scettica avrebbe potuto diventare euro-fila. A ben guardare la proposta di Forza Italia era la politica economica italiana di una volta - di trenta e passa anni fa - ma questa volta attuata a livello europeo: il bilancio pubblico in gran deficit per alimentare la domanda, con il finanziamento della banca centrale di una parte del deficit, il tutto combinato con una moneta debole in grado di spingere le esportazioni.

Il M5S non aveva una storia da giustificare. Non aveva mai governato, e perciò non aveva mai aderito agli accordi internazionali che hanno portato alla formazione dell’Europa prima in chiave solo commerciale e poi anche valutaria. La proposta era: 1) il Paese è governato da una Kasta, che fa solo i propri interessi; 2) fanno parte della Kasta quelli che costituiscono la base del vecchio potere: istituzioni, imprese, sindacati, grandi media, eccetera; 3) non fanno parte della Kasta tutti gli altri; i non-Kasta hanno a disposizione la Rete per parlarsi e le Piazze per mostrarsi. Si ha così un sistema “orizzontale”, che si contrappone a quello “verticale” della Kasta; 4) poiché la Kasta è irriformabile, i “non-Kasta” entrano nell’arena politica per prendere il potere, che sarà di tutti; 5) i cittadini eletti che rappresentano i non-Kasta devono rigorosamente rappresentarli – perciò torna il “vincolo di mandato”, e il mondo sarà privo di pesi e contrappesi giudiziari – la Corte Costituzionale sarà composta da cittadini eletti a sorte - al fine di avere un potere popolare pieno; 6) la proposta economica, mai circostanziata, poteva essere giudicata sia euro-foba, sia euro-scettica. In linea di massima era stata delineata nei sette punti programmatici al “V-day” (sic) del dicembre 2013. Si aveva: i) un referendum per la permanenza nell’euro; ii) l’abolizione del Fiscal Compact; iii) l’adozione degli Euro Bond; iv) l’alleanza tra i Paesi mediterranei per una politica comune, v) gli investimenti in innovazione e nuove attività produttive esclusi dal limite del 3 per cento annuo di deficit di bilancio; vi) si hanno i finanziamenti per attività agricole finalizzate ai consumi nazionali interni; vii) infine, si ha l’abolizione del pareggio di bilancio. La proposta non è mai (è un caso?) stata circostanziata, perché, se si vuole uscire dall’euro non si possono avere gli euro Bond, così come non si possono avere questi ultimi, anche stando nell’euro, con l’eliminazione dei vincoli di bilancio dei Paesi membri.

Si contrapponeva a questa visione della “mano pubblica” di Forza Italia e del M5S - la spesa in deficit con finanziamento monetario oppure con la condivisione del rischio grazie agli euro Bond - quella del nuovo corso “renziano” del PD, che possiamo definire euro fila. Con le elezioni del 2013 non era emerso un vincitore – il PD aveva la maggioranza alla Camera, ma non al Senato. Il programma di Bersani, che possiamo definire apparentemente euro filo ma in realtà euro scettico, per avere una maggioranza stabile al Senato, era una miscela di: (a) minor austerità da realizzarsi con maggiori investimenti pubblici, (b) miglior protezione sociale, (c) tagli ai costi della politica, (d) energia verde, (e) matrimonio civili più aperti. Tutti punti che potevano incontrare il favore del M5S. Punti che non sarebbero stati troppo diversi se nel 2018 fosse passata l'idea di un accordo fra il PD e i M5S. La premessa dell'accordo cercato da Bersani era che «l’aggiustamento di debito e deficit sono obiettivi di medio termine, poiché l’immediata emergenza sta nell’economia reale e nell’occupazione». Questa premessa che si è manifestata di nuovo con la nascita del governo di Giuseppe Conte. Si trattava allora - nel 2013 - di un capovolgimento rispetto al governo Monti, che fino ad allora il PD – anche Forza Italia - aveva appoggiato: Monti vedeva nell’aggiustamento dei conti pubblici la premessa per il rilancio. Il PD di Bersani sarebbe stato prima facie euro-filo, ma con una politica economica che rimandava le riforme a dopo il rilancio. Poi – prima con Letta e poi con Renzi – il PD era tornato a volere prima le riforme del mercato dei prodotti e del lavoro e poi la negoziazione dei vincoli di bilancio dell'euro-area.

Nel 2013 – elezioni nazionali - e nel 2014 – elezioni europee - si avevano dei progetti molto simili a quelli che sono poi emersi - e dilagati - con le elezioni nazionali del 2018. La contrapposizione ai progetti di Forza Italia, del M5S, e del PD di Bersani, che possiamo etichettare come "crescita trainata dal settore pubblico", si aveva solo nell'esperienza prima di Letta e poi di Renzi, un'esperienza che possiamo etichettare come “austerità espansiva” - non proprio una novità perché già inaugurata da Monti nel 2011. Insomma, questa è la tesi: ciò che era ben presente ma che non era passato nel 2013 e nel 2014, è dilagato pochi anni dopo. Perché mai?

Per approfondire il passato:

https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/3667-europedia.html

http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/3758-il-bel-paese-che-cambia.html

http://www.linkiesta.it/it/article/2014/05/25/il-voto-europeo-e-il-mito-della-spesa-pubblica/21396/

http://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/4253-del-governare-la-modernizzazione.html

Per scrutare il futuro:

https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4873-il-partito-taumaturgo.html

https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4887-inizia-la-xviii-legislatura-ii.html

https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/4921-adelante,-pedro,-cum-juicio.html

https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/4938-dubbi-intorno-al-nuovo-governo-3.html