Si può immaginare il ripudio o la ristrutturazione del debito della Grecia. Nel primo caso, il debito non è pagato (né le cedole, né il capitale), nel secondo caso il debito è allungato (ossia ci si attende che alla scadenza sia rimborsato) e le cedole sono ridotte. Ossia, le scadenze del rimborso sono protratte nel tempo, in attesa del risanamento, con il suo costo ridotto, perché le cedole sono minori. In questo modo non si ha il problema della liquidità (non si va frequentemente alle aste per il rinnovo) e si è ridotto l’onere del debito e dunque si è ridotta la probabilità di insolvenza. Nel secondo caso, le banche europee non devono svalutare le obbligazioni greche (queste sono allungate e quindi vanno alla scadenza, quando valgono 100) e gli assicuratori statunitensi non devono pagare per il fallimento. È a questa seconda soluzione che si sta lavorando.

L’happy ending

Alla Grecia è richiesto un saldo primario (= la differenza fra entrate e uscite dello stato prima del pagamento degli interessi) positivo (= le entrate che sono maggiori delle uscite) cospicuo (data la consistenza del debito e dei relativi interessi) per risanare il proprio bilancio pubblico. In questo modo l’avanzo si «mangia» gli interessi da pagare. Non si ha più necessità di emettere nuovo debito pubblico e il paese piano piano si «risana». Intanto che la Grecia risana il proprio bilancio e fintanto che non arriva – grazie al surplus primario – ad annullare l’emissione di nuovo debito, ecco che gli altri paesi dell’area euro e il Fondo Monetario la finanziano, comprando il suo debito pubblico ma chiedendole un rendimento inferiore a quello dei mercati.

Così la Grecia si risana. E con essa anche i creditori. Il debito greco è infatti, per una parte, nei portafogli delle banche e delle finanziarie europee (fondi pensione e assicurazioni). Se la Grecia non si risanasse, ossia se smettesse di pagare le cedole sul suo debito che, oltretutto, alla scadenza non fosse nemmeno rimborsato, ecco che i suoi creditori dovrebbero registrare le perdite. Il che nel caso delle banche porterebbe a una riduzione del loro attivo e quindi del loro passivo (precisamente, del patrimonio netto). Riducendosi quest’ultimo, e avendo le banche un rapporto fra attivo e patrimonio netto da tenere in equilibrio (= la leva finanziaria), alla fine si ridurrebbero i crediti verso le imprese e le famiglie. Le perdite sul debito greco si trasformerebbero in una riduzione del credito. Non solo, il sistema finanziario europeo ha comprato il debito greco e ha – allo stesso tempo, ma in misura minore – comprato dei contratti di assicurazione in caso di insolvenza della Grecia (= i credit default swaps) dal sistema finanziario statunitense. Quindi gli europei perderebbero sul debito greco per la parte non assicurata, e gli statunitensi per la parte assicurata. Ecco l’«effetto contagio», dalla Grecia all’Europa agli Stati Uniti. Conviene quindi a tutti salvare la Grecia – è la conclusione. Ma, evidentemente, non è così facile.


La Tragedia della Grecia

La manovra richiesta prima per portare sotto controllo il debito pubblico greco e poi per ridurlo – un rapporto debito/Pil del 60% in dieci anni – richiede un avanzo primario pari al 10% del Pil, secondo i conti del Fondo Monetario (Fiscal Monitor, aprile 2011, p. 22). Un numero che metterebbe sotto pressione qualsiasi sistema politico. E quello greco è già sotto pressione. (Secondo gli stessi conti del Fondo Monetario, l’avanzo primario degli Stati Uniti che nel tempo riduce il debito è pari al 10% del Pil, e quello italiano è pari a poco più del 3%.) La Grecia dovrebbe tagliare le spese pubbliche e incrementare le imposte. Molte spese sono difficili da tagliare, e la raccolta delle imposte è difficile in un paese con enormi sacche di evasione che per di più ha, per effetto della crisi, una base imponibile in contrazione.

La Grecia avrebbe una crisi di «liquidità» se intanto che si risana abbisogna di un finanziamento a tassi che non la strozzino. Proprio come si diceva all’inizio. La Grecia avrebbe, invece, una crisi di «solvibilità» se non riuscisse a risanarsi proprio a causa dell’entità delle manovre richieste in un paese fragile e quindi i finanziamenti, che intanto la aiutano, alla fine non fossero rimborsati. Che è il timore di molti.


I barometri non hanno colpa

Immaginate di essere una società che emette giudizi sul merito di credito (= le agenzie di rating), dove il merito massimo è A e il merito minimo, alias il fallimento, è D (“d” come default, fallimento). Con la Grecia che è in crisi di liquidità, i voti sono sull’intermedio tendente al basso – fra B e C. Con la Grecia che è in crisi di solvibilità, i voti sono dal basso tendente al giudizio peggiore – fra C e D. Non c’è quindi nulla di misterioso nei comportamenti delle agenzie di rating. Lo stesso vale per il giudizio sul merito di credito delle banche che hanno attività finanziarie greche. Man mano che il debito greco si sposta da B a D, il merito di credito delle banche peggiora. Così come, se il merito di credito della Grecia tende a D, il premio per assicurarsi (= il credit default swap) sale, ma, se la Grecia risale verso B, scende. Insomma le agenzie di credito registrano gli andamenti, sono dei barometri ma non fanno il tempo.

Quest’ultimo è figlio dell’interazione fra il saldo del bilancio pubblico prima del pagamento degli interessi, la crescita economica, il costo del debito, il debito medesimo. L’equazione che mostra le condizioni per avere un debito pubblico che non cresce in rapporto al Pil è: s = ((r-g)/(1+g))*d. Nel caso greco, il debito (d) tende al 150% del Pil, la crescita (g) è nulla e il costo del debito (r) tende al 10%. Segue che per avere un debito stabile il saldo primario tende al 15%. Un numero mostruoso. Se rifacciamo i conti, ammettendo una qualche crescita e un costo del debito di molto inferiore, allora abbiamo i numeri del Fondo Monetario mostrati prima. Dei numeri meno mostruosi nella loro mostruosità. È poco realistico pensare che questi numeri possano essere facilmente ottenuti.

Esodo

Si può allora immaginare il ripudio o la ristrutturazione del debito della Grecia. Nel primo caso, il debito non è pagato (né le cedole, né il capitale), nel secondo caso il debito è allungato (ossia ci si attende che alla scadenza sia rimborsato) e le cedole sono ridotte. Ossia, le scadenze del rimborso sono protratte nel tempo, in attesa del risanamento, con il suo costo ridotto, perché le cedole sono minori. In questo modo non si ha il problema della liquidità (non si va frequentemente alle aste per il rinnovo) e si è ridotto l'onere del debito e dunque si è ridotta la probabilità di insolvenza. Nel secondo caso, le banche europee non devono svalutare le obbligazioni greche (queste sono allungate e quindi vanno alla scadenza, quando valgono 100) e gli assicuratori statunitensi non devono pagare per il fallimento.

A questa seconda soluzione si sta lavorando. La Grecia se ne sta tramortita per un decennio, e il sistema finanziario internazionale non registra perdite. (Si noti che in questo caso le perdite del sistema finanziario – francese e tedesco – non sono mostrate all’elettorato, che vede rafforzata la propria convinzione di «superiorità morale»). Alla Grecia conviene? Sì. L’abbandono dell'euro per riabbracciare una moneta debole sarebbe nefasto. Dopo l’eventuale uscita dall’euro si avrebbe, infatti, la possibilità di generare inflazione per finanziare il deficit pubblico con una rinata banca centrale nazionale. Ci rimetterebbero i pensionati e i lavoratori meno qualificati e non sindacalizzati, quelli che oggi non vanno a manifestare. La moneta debole comunque non rilancerebbe l’economia, perché la Grecia non ha un apparato industriale. Con la dracma conviene andare in vacanza in Grecia, ma il sovra-gettito del ristorante non risana il bilancio pubblico.


L’articolo è stato pubblicato su “Limes”:

http://temi.repubblica.it/limes/la-tragedia-greca-puo-avere-il-lieto-fine/24821