Se penso che la società X abbia un prezzo assurdo, vendo la sua azione “allo scoperto”, ossia mi faccio prestare il titolo di X e lo vendo. Quando è caduto il prezzo, lo ricompro e rendo il titolo. Se i prezzi sono assurdi ed allo stesso tempo sono possibili le vendite scoperte, i prezzi assurdi non dovrebbero manifestarsi.
Se la crescita dei prezzi delle azioni tecnologiche fino al 2000 e degli immobili fino al 2006 era assurda, perché mai non sono entrati in pista i venditori allo scoperto? Supponiamo che la azione della società (o dell’immobile) X abbia un prezzo di 10 euro. Abbiamo chi pensa che sia una grande impresa e chi pensa che sia un bidone. Chi pensa che sia una grande impresa compra, ma la società fallisce, e quindi perde 10 euro. Se invece ha ragione e sale fino a 100 euro, guadagna ben 90 euro. Chi pensa che la società X sia un bidone vende allo scoperto. Se ha ragione e la società fallisce, guadagna 10 euro. Se invece si sbaglia, e la società sale fino a 100 euro, perde ben 90 euro. I risultati sono diseguali. Chi compra e basta, chi è “lungo”, può perdere al massimo quel che investe, 10 euro, ma può guadagnare molto, 90 euro. Chi vende allo scoperto, chi è “corto”, può perdere molto più di quello che investe, 90 euro, ma può guadagnare, se ha ragione, 10 euro. Lo spettro dei risultati non è proprio un incentivo a vendere allo scoperto.
Per questa ragione i venditori allo scoperto non sono importanti quando i mercati salgono, e quindi non possono diventarne “i pompieri”. Solo quando i mercati stanno precipitando la probabilità di guadagnare vendendo allo scoperto aumenta molto. I venditori scoperti allora si fanno coraggio, diventano molti e quindi importanti. In conclusione, i mercati non sono completi, perché, salvo quando precipitano, le vendite scoperte sono troppo rischiose. I mercati non hanno quindi un meccanismo tutto interno che impedisca la crescita irragionevole dei prezzi. Però, quando i prezzi precipitano, precipitano “a piombo”. E qui siamo.
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