Un modo per giudicare lo stato di salute del settore privato consiste nell’osservare quanti posti di lavoro ha creato su un arco temporale lungo, poniamo dieci anni. Un modo per giudicare l’entità della crisi in corso consiste nell’osservare quanto anomali siano gli andamenti degli ultimi tempi del commercio internazionale. Un modo, infine, per giudicare la crisi in corso è rendersi conto di come la crescita del debito pubblico sia insostenibile quanto necessaria.
La serie storica - primo grafico - è costruita sui dati ufficiali statunitensi e mostra come negli ultimi dieci anni la creazione di posti di lavoro nel settore privato sia stata quasi nulla. Da notare che l’incapacità di creare posti di lavoro è iniziata ben prima della crisi in corso (1). La borsa, il barometro dell'economia, si trova oggi allo stesso livello di dieci anni fa, in compagnia del mercato del lavoro privato.
La crisi in corso è una vera crisi, anche nell’universo del commercio internazionale. Lo si evince dalla caduta tanto delle esportazioni quanto delle importazioni, secondo grafico, sempre degli Stati Uniti. La caduta violenta e improvvisa degli ultimi tempi è totalmente al di fuori del percorso che si stima a partire da quarant’anni di osservazioni su esportazioni e importazioni (2).
La crisi c’è. Le famiglie dei paesi anglosassoni si debbono disindebitare, e per farlo devono risparmiare. La caduta dei consumi, frutto dei maggiori risparmi, porta alla contrazione dell’economia, a meno che il settore pubblico non bilanci il maggiore risparmio del settore privato con un suo minore risparmio. Ossia con il settore pubblico che aumenta il proprio deficit. Dunque aumentano i deficit e aumenta di conseguenza il debito. I rendimenti delle obbligazioni sono spinti al rialzo. È un percorso – quello del minor debito privato e del maggior debito pubblico – evitabile? No, a meno di scegliere una contrazione economica profonda e prolungata, della cui sostenibilità politica è più che lecito dubitare. Il maggior debito pubblico è dunque sia insostenibile sia necessario. È il paradosso delle crisi da «deflazione del debito privato» (3).
(1) http://economistsview.typepad.com/economistsview/2009/06/a-lost-decade-for-jobs.html
(2) http://www.econbrowser.com/archives/2009/06/update_on_us_ex.html
(3) http://www.eurointelligence.com/article.581+M5fb6f783f6a.0.html
La crisi in corso è una vera crisi, anche nell’universo del commercio internazionale. Lo si evince dalla caduta tanto delle esportazioni quanto delle importazioni, secondo grafico, sempre degli Stati Uniti. La caduta violenta e improvvisa degli ultimi tempi è totalmente al di fuori del percorso che si stima a partire da quarant’anni di osservazioni su esportazioni e importazioni (2).
La crisi c’è. Le famiglie dei paesi anglosassoni si debbono disindebitare, e per farlo devono risparmiare. La caduta dei consumi, frutto dei maggiori risparmi, porta alla contrazione dell’economia, a meno che il settore pubblico non bilanci il maggiore risparmio del settore privato con un suo minore risparmio. Ossia con il settore pubblico che aumenta il proprio deficit. Dunque aumentano i deficit e aumenta di conseguenza il debito. I rendimenti delle obbligazioni sono spinti al rialzo. È un percorso – quello del minor debito privato e del maggior debito pubblico – evitabile? No, a meno di scegliere una contrazione economica profonda e prolungata, della cui sostenibilità politica è più che lecito dubitare. Il maggior debito pubblico è dunque sia insostenibile sia necessario. È il paradosso delle crisi da «deflazione del debito privato» (3).
(1) http://economistsview.typepad.com/economistsview/2009/06/a-lost-decade-for-jobs.html
(2) http://www.econbrowser.com/archives/2009/06/update_on_us_ex.html
(3) http://www.eurointelligence.com/article.581+M5fb6f783f6a.0.html
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