Il volume di rifiuti per dispositivi di protezione in Italia raggiungerebbe alla fine del 2020 un valore medio di 200mila tonnellate
Molti lettori si chiederanno se è importante parlare di rifiuti, eppure proprio in questi mesi di emergenza sanitaria un nuovo item è venuto alla ribalta: le mascherine protettive, obbligatorie in Italia all’aperto e nei luoghi chiusi.
Il protrarsi della necessità di protezione, appropriato visto l’andamento della curva dei contagi in Italia e all’estero, oltre al numero di mascherine complessivamente utilizzate (almeno 90 milioni al mese, secondo le stime del Capo della Protezione Civile e del Commissario all’emergenza Covid-19, solo nella prima fase pandemica) innescano però il problema della loro successiva gestione come rifiuti indifferenziati.
Un’onda di idee, intraprendenza ed ingegno imprenditoriale
FFP2-3, Dpi (dispositivi di protezione individuale) e mascherine chirurgiche fino a qualche mese fa erano termini e strumenti noti perlopiù solo a tecnici e la loro produzione era considerata di bassa tecnologia e di basso valore aggiunto e, così, delocalizzata all’estero.
Covid-19 ha cambiato però il quotidiano di tutti ed inserito nuove prassi e un nuovo lessico. Anche le aziende hanno fatto fronte ad una nuova organizzazione accelerando ad esempio il ricorso allo smart-working e in alcuni casi anche modificando i processi produttivi. Ad inizio della pandemia, il Capo della Protezione Civile e le Istituzioni ai vari livelli hanno lanciato infatti appelli alla produzione di mascherine, sollecitando il re-insediamento delle filiere sul territorio e molte realtà aziendali (tessili ma anche con core business nei macchinari od operanti nel campo delle soluzioni per l’additive manufacturing) hanno attivato percorsi di riconversione industriale, anche investendo in ricerca e testing di prototipi, materiali e trattamenti innovativi.
Ciò è avvenuto anche grazie all’intermediazione delle sedi locali di Confindustria, secondo un modello di intervento che ha guidato gli associati, da un primo sondaggio della disponibilità fino al networking (nella Figura 1, tutte le fasi della promozione di una riconversione verso l’approvvigionamento delle dotazioni sanitarie necessarie) e previa validazione da parte dell’Iss-Istituto Superiore di Sanità (Figura 2). Da una ricognizione dei dati Iss risulta che le imprese più attive a riguardo hanno sede in Lombardia, Campagna e Toscana (nella Figura 3, il numero delle autorizzazioni rilasciate per Regione), soprattutto per la produzione di dpi di tipo II ex norma UNI EN 14683:2019 e monouso (Figura 4 e Figura 5).
Il volume di rifiuti per dispositivi di protezione individuale
Ora è noto che, per garantirne il corretto funzionamento e la necessaria protezione al virus, è necessario sostituire le mascherine (Figura 6) con regolarità e, se si pensa al numero di utilizzatori accresciuto a causa della pandemia in corso, è chiara la mole di materiali in questione.
Secondo Ispra – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, utilizzando il valore medio complessivo di 11 grammi per mascherina e un intervallo compreso tra 7 e 18 grammi (a seconda della presenza o meno di valvola), oltre ad un fabbisogno giornaliero che solo nella Fase 2 è stata pari a 40 milioni di pezzi, è possibile stimare una produzione di rifiuti giornaliera su scala nazionale fino a 720 tonnellate. Aggiungendo poi alla proiezione anche l’ipotesi della necessità di guanti protettivi e calcolandone il peso presunto in base alle schede tecniche consultabili, il volume di rifiuti per dispositivi di protezione alla fine del 2020 raggiungerebbe un valore medio di 200mila tonnellate.
Un problema molto rilevante cui si aggiunge che, secondo uno studio congiunto di Corepla (Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica) e Susdef (Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile), il lockdown già di per sé ha innescato un incremento dell’8 per cento nei quantitativi di rifiuti plastici in rapporto all’equivalente periodo del 2019 e un generalizzato ri-orientamento dei consumatori verso la scelta di alimenti imballati e acquisti on-line. In più, in base alle indicazioni dell’Istituto superiore di sanità, la raccolta differenziata va interrotta completamente nelle abitazioni dove risiedono persone malate o positive al tampone o in quarantena obbligatoria per Covid-19, per comprensibili ragioni di prudenza, ma con l’esito finale di vanificare gli effetti positivi sull’ambiente delle ormai sedimentate formule di recupero dei materiali riciclabili.
Filiere circolari dalla produzione al riciclo
In proposito l’ENEA - Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico, ha promosso una filiera circolare dalla produzione al riciclo, anche per contenere il rischio di abbandono nell’ambiente. Ecco le fasi del progetto, che in modalità pilota sarà avviato nelle aree di Bergamo e Brescia: [1] produrre filtri mono-uso di un solo materiale da inserire in mascherine fisse, lavabili e riutilizzabili; [2] prevedere per i filtri utilizzati dei punti di raccolta in luoghi di passaggio (come supermercati o farmacie) e per gli utenti virtuosi dei sistemi di ricompensa in caso di corretto riciclaggio (come bonus per il riacquisto del prodotto); [3] riutilizzare il polimero riposizionandolo nel ciclo produttivo.
L’opportunità di filiere inter-settoriali per far fronte all’accresciuta necessità di dispositivi di protezione non è nuova ed è già stata colta con successo nelle fasi più critiche della pandemia, in linea con l’azione del Consiglio europeo per l’innovazione che ha lanciato iniziative ad hoc per favorire l’emersione di soluzioni innovative contro l’emergenza, come gli spazi on-line per riunire ricercatori e imprese e ottimizzare le connessioni tra settori.
Così, ad esempio in Lombardia, una delle regioni più colpite, Regione e Politecnico di Milano hanno creato una Task Force per selezionare le aziende adatte a riconvertire la produzione industriale e fornire dispositivi di protezione individuale e pure l’Unione degli Industriali di Varese si è proposta come punto di raccolta della disponibilità delle imprese del territorio a riconvertire le produzioni, anche fornendo informazioni sulle procedure e sulla documentazione tecnica necessaria. Grazie a interconnessioni di questo tipo e alla strategica collaborazione tra diversi segmenti del settore tessile, Confindustria Bergamo ha realizzato efficacemente una filiera a chilometro zero delle mascherine chirurgiche con l’iniziativa Facciamo l’impresa, insieme.
Posto che evidentemente non mancano in Italia capacità imprenditoriali di riorganizzarsi, modificare e trasformare le catene del valore (secondo i dati Istat, solo nella fase 1, il 36,8 per cento delle aziende italiane ha mostrato questo tipo di adattamento e di resilienza), ora si tratterebbe quindi di far evolvere le collaborazioni circolari e coinvolgervi anche la filiera della gestione dei rifiuti, imprescindibile anello di una economia che dovrà diventare sempre più green nella ripresa del dopo-covid
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