I prezzi raggiunti dalla maggior parte delle criptovalute sul finire del 2017 sono stati seguiti da un forte ribasso

Sul finire del 2017 il Bitcoin arrivò a sfiorare quota 20.000 dollari, dopo un’interminabile serie di record che aveva visto il prezzo della principale criptovaluta crescere di 20 volte in meno di 12 mesi, catturando l’attenzione dei mass media e anche dei non addetti ai lavori.
Parole quali “Bitcoin”, “Litecoin” ed “Ethereum” fecero registrare picchi sui motori di ricerca (Figura 1), mentre la capitalizzazione complessiva del settore cresceva di giorno in giorno, fino a raggiungere quota 800 miliardi di dollari nel gennaio 2018 (Figura 2).

Alcuni analisti, o improvvisati esperti del settore, si lanciarono in previsioni spesso azzardate, ipotizzando che il valore del Bitcoin avrebbe potuto toccare quota 50.000 o anche 100.000 dollari entro la fine del 2018. In realtà, lo scenario che si palesava sui mercati, era differente, con il Bitcoin che aveva ormai intrapreso un percorso ribassista (Figura 3).
E non lo aveva fatto con una tempistica casuale, ma bensì a partire dai giorni successivi al lancio del futures sullo stesso Bitcoin da parte degli exchange americani CME e CBOE. Sostanzialmente, da quando il mondo finanziario ha iniziato ad avere una reale possibilità di puntare anche sul ribasso delle criptovalute (tramite i futures appunto), la direzione intrapresa è stata quasi a senso unico verso il basso, con un trend negativo che ha caratterizzato il 2018. A soffrire non è stato soltanto il Bitcoin, quanto piuttosto l’intero settore. Le perdite maggiori, infatti, si sono spesso registrate su criptovalute di secondo piano, che erano esplose al rialzo nei mesi del boom a fine 2017. In molti casi, alle spalle di progetti sulla carta avvincenti, in grado di racimolare anche decine di milioni con le ICO (le offerte di lancio della moneta virtuale), non c’era quasi nulla di concreto e le quotazioni si sono rapidamente sgonfiate, con perdite anche superiori al 95% dai massimi. In altri casi, invece, nonostante la bontà del progetto originale, i prezzi erano ormai arrivati su valori distanti dalla realtà, con conseguenze simili e cali nell’ordine del 80-90% dai massimi.

Le situazioni più drammatiche, invece, sono risultate quelle legate a vere e proprie truffe, talvolta con l’intervento dei federali dell’FBI a sventare fantomatici progetti, o meglio tentativi di truffe pianificate (scam in inglese), che avevano raccolto milioni senza avere alle spalle alcun progetto serio. A tal proposito vale la pena ricordare un recente report di Ernst & Young, che ha messo in luce come soltanto il 13% delle criptovalute abbiano realmente realizzato un progetto funzionante. Fra le ICO del 2017 ben l’87% di queste sono abitualmente sotto il valore di quotazione; molte con perdite anche prossime o superiori al 90%. Inoltre, ben il 71% dei progetti sono rimasti ad un puro stato ideativo.

Analizziamo ora quanto successo sulle principali monete virtuali nel corso del 2018, partendo ovviamente dal Bitcoin (Figura 4). La regina delle criptovalute ha iniziato l’anno ancora sotto i riflettori grazie al boom del 2017, ma il trend, come accennato, ha ben presto intrapreso una direzione ribassista, con le quotazioni che sono crollate nel mese di gennaio, sino a sfiorare i 6.000 dollari per unità. A marzo i prezzi hanno provato una ripresa, con un corposo rimbalzo fino a quota 12.000, che non ha però trovato consistenza. Nei mesi seguenti i massimi sono via via stati decrescenti, con un lento e progressivo assestamento del prezzo fra i 6.000 ed i 7.500 dollari, mentre l’interesse delle masse (ed anche quello degli operatori) scemava progressivamente, in attesa di nuovi movimenti, arrivati a novembre, con una nuova accelerazione ribassista. Il prezzo ha aggiornato i minimi da un anno e mezzo, con un altro -35% che lo ha portato sotto quota 4.000 dollari.

Anche l’Ethereum ha provato a difendersi, ma con perdite comunque molto consistenti (Figura 5), che dai massimi in area 1.300 dollari per unità di gennaio è sceso a quota 400 in primavera, per poi rimbalzare a 800 nel mese di giugno. Anche in questo caso, però, il nuovo rally, era destinato ad avere breve durata. Il prezzo, infatti, ha intrapreso un costante percorso ribassista che lo ha portato verso quota 100 dollari, con perdite che da inizio 2018 hanno superato l’80%.
Non è andata meglio a Ripple (Figura 6), anche se i movimenti in questo caso sono stati leggermente differenti. Questa criptovaluta non decentralizzata, infatti, ha messo a segno un impressionante rally nel mese di gennaio, moltiplicando il suo valore di circa 10 volte, con un incredibile balzo da meno di 30 centesimi fin oltre quota 3 dollari. L’entusiasmo è presto scemato anche in questo caso, con una rapida discesa che ha riportato Ripple poco sopra i precedenti valori nell’estate, appunto in area 0,30. Le prospettive di nuovi accordi e nuove applicazioni legate a questa criptovaluta hanno ridato un po’ di slancio nel mese di settembre, consentendo alle quotazioni di riportarsi intorno ai 50 centesimi, prima di una nuova discesa a 0,35$. L’elenco potrebbe proseguire con la caduta di Litecoin, che dai massimi in area 350 dollari è scivolato a 30$ o con Tron che dai 25 centesimi per unità si è progressivamente deprezzato fino a valere appena 1,5 centesimi. (0,015 dollari)

Nel bagno di sangue generale, come si è modificata la composizione complessiva della capitalizzazione del settore?
Lo possiamo esaminare tramite il grafico in Figura 7, che illustra il peso complessivo delle varie criptovalute. Fino ad inizio 2017 il Bitcoin pesava per oltre l’80% sul totale. Nonostante la sua annata d’oro, la quota complessiva sul totale delle criptovalute è crollata al 35%. Questo per due ragioni: in primis altre e-currency come Litecoin, Ethereum o Ripple nel 2017 sono cresciute ancora di più, in secondo luogo sono nate numerose altre monete virtuali, portando il totale a superare le 1.000 criptovalute differenti nel corso del 2017 (a novembre 2018 sono ormai oltre 2.000). Va tuttavia ricordato come molte di esse abbiano ormai un valore pressoché pari a zero. Se ne contano infatti centinaia con quotazione unitaria inferiore a 0,001 dollari.
Nonostante la debacle del Bitcoin del 2018, la “dominance (ossia la quota del Bitcoin sul totale della capitalizzazione del mercato) è tornata a crescere con forza, risalendo oltre quota 50%. Questo perché il suo calo, seppur molto ampio, è risultato complessivamente inferiore in termini percentuali rispetto a quelli delle altre criptovalute. A livello complessivo sul finire di novembre 2018 la capitalizzazione del settore oscilla poco sopra quota 120 miliardi di dollari. Circa 65 miliardi è il valore totale dei Bitcoin; insegue, ampiamente staccato, Ripple (13 miliardi), mentre chiude il podio Ethereum a 10 miliardi. In quarta posizione troviamo Stellar a 2,5 miliardi, davanti a Bitcoin Cash (2,1 miliardi) ed EOS (1,9 miliardi).

Quali le conclusioni da trarre? Senz’altro, come ricordavamo anche nella fase del boom, la prudenza resta d’obbligo. Le monete virtuali potrebbero rappresentare parte del futuro. Al momento, però, risulta estremamente complesso valutare quante siano le probabilità di successo dei piani delle varie monete e quelle che saranno le eventuali tempistiche di applicazione nella quotidianità. È invece più facile stabilire come chi abbia investito nella fase del boom abbia o stia tuttora perdendo una gran parte del capitale, mentre restano in attivo i pionieri che sono arrivati prima delle masse.
Possiamo inoltre catalogare a tutti gli effetti come una grande bolla la salita del 2017, senza sminuire il progetto Bitcoin, ma semplicemente notando come i prezzi raggiunti dalla maggior parte delle criptovalute sul finire del 2017 siano stati seguiti da una violenta correzione. Chiaro segnale che i mercati, dopo la grande abbuffata, le abbiano ritenute ampiamente sopravvalutate. Anche in questo caso, come nella tulipomania dell’Olanda del Seicento o nella corsa all’oro dell’Ottocento, soltanto i primi arrivati si sono arricchiti.