Lacrime di coccodrillo. Ovvero, la rabbia e il cordoglio sono inutili nel day after mondiale che vede nuovamente i Talebani al potere in Afghanistan. Immagini e notizie laceranti, la disfatta dell’Occidente – e anche degli Stati Uniti – con vent’anni gettati alle ortiche, con fiumi di denaro e di sangue che paiono scorsi invano, se pensiamo ai nostri ragazzi di Nassirya.

Tuttavia, c’è una generazione di millennials – soprattutto ragazze – che in città come Kabul, Kandahar, Herat, ha potuto crescere studiando da persone libere. Sono germogli che non andranno persi, nonostante il male assoluto che sembra prevalere. Considerazioni laceranti, se pensiamo che tutto questo accade a pochi giorni dal ventennale delle Twin Towers e dalla morte di un testimone credibile come Gino Strada. Riflessioni che stridono con l’avvilente speech di Joe Biden dalla Casa Bianca, un’abdicazione maldestra degli Usa in nome della pancia trumpiana dell’America first.

Gli inquilini della White House

Non è soltanto responsabilità dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Ne hanno George W.Bush, Barack Obama e Donald Trump, ovviamente. Ma stride, in nome dei principi universali e dei diritti, l’angusto cabotaggio sulla diffusione della democrazia nel mondo. Tutto questo avrà da subito conseguenze geopolitiche ed economiche complesse e non prevedibili, con la Cina e la Russia che gongolano per il nuovo scenario e che già hanno messo il cappello sulla sedia. Bisognerà tenere d’occhio fin da subito gli interscambi commerciali, per dire.

L’amministrazione Biden è all’inizio del mandato, ma c’è qualcosa di ben più grave dietro lo sguardo tirato del @Potus che per un attimo (ma solo per un attimo) ha ricordato lo smarrimento di Jimmy Carter dopo la mancata liberazione degli ostaggi dell’ambasciata americana a Teheran il 24 aprile 1980.

Le meschinità di Ferragosto

Sì, lo scontro fra civiltà, osservato vent’anni dopo, sembra decisamente più meschino. Sarebbe interessante, oggi, ragionarne con Oriana Fallaci, partendo da quegli uomini che cadono dagli aerei così come da New York si lanciavano nel vuoto dalle torri gemelle l’11 settembre 2001. La rabbia il cordoglio, comunque, sono inutili, se diventano il condimento occidentale delle grigliate ferragostane, l’argomento da spiaggia dei capannelli sul bagnasciuga cui partecipa il nostro ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Lo stesso atteggiamento di chi alterna sui social foto di braciole arrosto e talebani con il mitra.

L’Europa, la sostenibilità e l’industria delle armi

Però, adesso, basta raccontarci favolette. Lo scenario è questo e va affrontato. Svegliamoci dal torpore emozionale. Nessuno sta parlando dell’industria bellica pesante e dei suoi enormi interessi, capaci di condizionare le scelte politiche con le sue potenti lobbies. L’Europa, la fragile comunità di Stati che – come tutto il Pianeta sta cercando di uscire dalla crisi della pandemia – è impegnata nella grande iniziativa Next Generation Eu.

E dunque, che mondo intendiamo lasciare ai nostri figli? Una società distopica e surriscaldata dal climate change?

Politici di vaglia ed economisti dovrebbero introdurre – da subito – nella questione della sostenibilità anche il tema della riconversione dell’industria militare e di una azione congiunta contro il traffico d’armi. E così come oggi si cerca di fare pulizia sul “green washing” per evitare che qualsiasi investimento sia etichettato senza controlli come ESG (environmental, social, governance), analogamente si diventi esigenti sulle compartecipazioni azionarie più o meno occulte di fondi e grandi gruppi bancari in aziende in prima linea nel costruire strumenti di morte.

La transizione ecologica deve avere anche questa componente.

Senza utopie, con molto realismo. Sennò tutto suona di grande falsità, come questi ultimi vent’anni. Lo possono intuire bene sia la preparazione tecnica di alto livello di un Mario Draghi o di una Ursula von Der Lien, sia l’allure da scugnizzo lesto di un Luigi Di Maio, visto che è questa la squadra di cui disponiamo sullo scacchiere. Come dire, se desideriamo aprire pagine nuove della storia, servono scelte coraggiose. Ne avremo il coraggio e l’orgoglio?

Qualche utile esercizio

Ancora due piccoli esercizi. Andiamo a curiosare sui documenti che parlano di industria delle armi in Italia, in Europa e nel mondo e guardiamo le destinazioni dell’export. E poi chiediamoci come mai, con l’Egitto per esempio, non si fa chiarezza sulla vicenda di Giulio Regeni o non si sblocca la vicenda del povero Patrick Zaki.

Infine, a coloro che parlano di dittatura sanitaria (anche molti monsignori tradizionalisti e complottisti cattolici che evocano un nuovo ordine mondiale) suggerisco di prenotare un paio di mesi di permanenza nella Kabul di adesso e poi ne riparliamo.