La guerra di dazi sembra essere diventata negoziale verso l'Europa, se la luna di miele meloniana continuerà, visto che comunque i rapporti sono ben più complessi e gli Usa mettono l'Iva europea sul conto delle barriere non tariffarie e degli incentivi all'export, ma infuria nel Pacifico. Pertanto, la recessione da dazi è una possibilità.
Gli indicatori dell'attività produttiva americana sono molto bassi. I consumi tengono. I tassi però mordono sia il bilancio pubblico sia i bilanci delle famiglie, particolarmente sul versante dei mutui. La percentuale dei mutui incagliati delle proprietà condominiali Usa ha raggiunto gli stessi livelli del 2007: livelli di attenzione, anche per i prezzi molto alti delle case, a seguito della finanziarizzazione del settore: case comprate da società per affittarle a prezzi che seguono molto da vicino la dinamica dei tassi.
Delinquency Rate sui mutui condominiali
E le famiglie soffrono. La politica dei dazi avrebbe dovuto ridurre i tassi, migliorando il saldo di bilancio pubblico e il relativo rischio di credito. In realtà no. La Fed non fa politica, ma sa che l'inflazione attesa si autoavvera, quindi cerca di scoraggiarla. Riprenderà a ridurre i tassi quando la politica commerciale sarà giunta a una soluzione definitiva, quale che sia, una volta svanita l'incertezza e digeriti i suoi effetti dai mercati. Questo è razionale.
Immobili commerciali che non pagano puntualmente le rate
Nel frattempo, i rendimenti li fa il mercato e si basano sulle aspettative. Il mercato sta prezzando il rischio di inflazione, o peggio di stagflazione con un premio crescente, mentre è scomparso lo sconto atteso dal Segretario al Tesoro per il miglioramento del bilancio pubblico. Il Department of Government Efficiency (DOGE, voluto da Trump) ha realizzato solo 113 miliardi di risparmi, peanuts sui 2000, poi ridotti a 1000 miliardi di dollari promessi, e dopo 6 mesi la produttività di tutti i processi di risparmio è sempre decrescente. Inoltre, se i dazi sono del 145% semplicemente si bloccano le importazioni e il dazio non viene incassato. Le analisi degli economisti sulle recessioni da dazi sono scarse. Non c'è materia da un secolo a questa parte per fare i conti, anche perchè le economie erano molto diverse. Per dirne una, allora si commerciavano materie prime per lo più e poi prodotti finiti. Adesso il 40% del commercio mondiale è fatto di beni intermedi che servono per produrre altri beni e il 20% di servizi. Gli uni e gli altri non hanno sostituti facili. E' più facile sostituire il rame di una miniera australiana con quello di una miniera russa e viceversa che sostituire i chip di Taiwan, perché non sono fatti in miniera e non ci sono altre provenienze.
Questo deve rendere da una parte pessimisti sul fatto che una recessione o stagflazione da dazi sia possibile. D'altra parte, si potrebbe anche pensare che proprio il danno diffuso e multilaterale che determinano i dazi, che impatta assai su chi li impone, prima o poi faccia scegliere al decisore altre strade e che accordi si trovino. C'è una cosa che bisogna sapere. Le recessioni non sono tutte uguali. Quella da dazi sarebbe una esperienza nuova, tuttavia c'è un "purché" da tenere in conto: "purché non sia accompagnata da una crisi finanziaria". Le recessioni senza crisi finanziarie sono rimediabili prima e sono meno gravi. Se si entra nel circuito delle crisi finanziarie le cose cambiano. Come abbiamo visto, quella del 2009 ha avuto conseguenze che sono arrivate fino ad oggi, con paesi che non si sono mai ripresi davvero, e con altri, come gli Stati Uniti, in cui il livello del reddito è rimasto dipendente dal deficit pubblico. Senza deficit, la crescita superiore degli Stati Uniti ci sarebbe stata? Molti ritengono che sarebbe stata simile a quella modesta dell’Europa, fatto salvo il magico mondo delle Magnifiche 7, che dalla guerra commerciale comunque hanno tutto da perdere, perché è difficile pensare che essendo società bandiera degli Stati Uniti non sarebbero bersagliate da ritorsioni commerciali, se gli Usa non mitigassero le pretese.
Trump ha appena dichiarato che la prima regola della negoziazione è che chi ha l'oro vince. Non si capisce se l'oro americano siano l'esercito e la flotta, se sia il mercato dei consumatori preoccupati, o se siano le Università finite nel mirino dei tagli, o quale sia davvero. Perché la nazione con l'esercito più forte del mondo ha buona parte del suo debito pubblico sottoscritto da europei, cinesi e giapponesi. Messa alle strette, l'economia americana pagherebbe più caro di quella cinese l'autarchia bilaterale. La Cina lo sa, e non cede di un millimetro. Inoltre il suo leader non fa mistero che sia maturo il momento in cui la Cina sia riconosciuta non come un semplice grande paese emergente, ma come una economia moderna tecnologicamente progredita, che vuole un trattamento da pari delle grandi potenze.
Tassi di rendimento dei titoli del tesoro americano trentennali aggiornati ad oggi
Tutto questo per dire che, mentre i prezzi delle azioni diventano ogni giorno più attraenti e per qualcuno possono rappresentare una occasione di acquisto, fino a che i rendimenti dei trentennali americani non incominceranno a flettere, l'influenza stagionale non passerà. Speriamo che non diventi polmonite. La convalescenza sarà faticosa, perché dopo aver, se non scardinato, almeno intaccato il ruolo del dollaro come moneta di riserva, aver messo in discussione il posto del Treasury come "safe asset" e aver criticato il sistema di libero scambio come motore della crescita, rivalutando improbabili successi del protezionismo, i premi di rischio sono cresciuti in tutto il mondo, e sono inversamente correlati, ahinoi, agli investimenti.
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