Doccia gelata a Wall Street. Jerome Powell ha presieduto l’ultima seduta della Fed sui tassi di interesse e li ha limati di 25 punti base, assecondando le aspettative, mentre ha dimezzato la guidance dei possibili tagli nel 2025.
I mercati hanno capito che i tassi di interesse in America resteranno alti: formalmente perché l’economia americana corre oltre le aspettative, ma sostanzialmente perché la Fed vuole fare pressione sulla amministrazione Trump, perché aggiusti il bilancio pubblico. Il debito federale è a 123 punti percentuali di Pil e il deficit a -7,6, addirittura in accelerazione rispetto al budget.
Se i tassi non scenderanno più il debito rischia di andare fuori controllo e la manovra sarà inevitabile. I dazi non basteranno.
Le promesse elettorali di tagli delle tasse andranno vane e questo ha fatto perdere 3 punti percentuali a Wall Street in 2 ore di negoziazione pomeridiana. All’indice Russell 2000, più rappresentativo della Main Street, sono mancati sotto i piedi 5 punti percentuali in un attimo.
Powell non è sostituibile fino al 2026 e farà vedere i sorci verdi a Trump. Anche perché ha promesso di licenziarlo. La sua posizione però è condivisibile. La politica monetaria può diventare easy se quella fiscale torna in posizione neutrale, visto che il Pil statunitense sta crescendo al ritmo istantaneo del 3,16%, secondo il nowcast della stessa Fed. Ovviamente, i tassi più alti faranno schizzare il dollaro, che tra poco raggiungerà la parità con l’euro (e nella seduta contemporanea alla conferenza stampa ha già toccato 1,03), e noi prevediamo che non si fermi prima di 0,95.
Rendimenti % decennali delle obbligazioni governative Usa e della Germania.
Sulla scala destra, le variazioni percentuali del cambio euro/dollaro
E l’Europa? Al contrario la Bce di Christine Lagarde dovrà continuare ad abbassare i tassi, visto che l’eurozona dal 2025 applicherà il nuovo patto di stabilità. Esso è costitutivamente deflazionistico, del resto come quello vecchio. Però l’Europa e l’Italia pagano in dollari l’energia e le materie prime. Quindi non solo il 2024 del Pil italiano rischia di finire l’anno con una variazione modesta o nulla, ma non lascerà eredità positiva al 2025, che dovrà quindi costruirsi integralmente da zero e con questi chiari di luna dovrà contrastare anche tendenze recessive. Meno male che il 70% del Pnrr deve essere ancora speso. Inoltre, c’è da sperare che i rinnovi contrattuali aumentino le buste paga e permettano un aumento dei consumi, visto che l’occupazione è andata bene.
Tuttavia questo sarebbe il momento di una politica fiscale espansiva, che il bilancio pubblico italiano non può permettersi. Ce la siamo giocata duranti gli anni della cicala. Quando il debito pubblico veniva “tirato” a go go. Una valvola di sfogo potrà essere il “debito buono” della rinegoziazione del Pnrr. Essa è quasi sicura, ma bisogna aspettare le elezioni di Germania e Francia. Fino ad allora saremo abbonati allo “zero virgola”. Di nuovo.
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