Sembra che le relazioni tra Italia e Francia si siano guastate per una nave che ha salvato 230 naufraghi (tra i quali 57 bambini) dalla probabile morte nello stretto di Sicilia. Non discutiamo la posizione dei due governi (Meloni e Macron), né sulle regole sulla distribuzione dei migranti tra i paesi Ue, che resta purtroppo su base volontaria. Non ci pare davvero questo il punto.

Ci pare invece che il punto sia cercare di volare più alto.

Proviamo a ragionare, in vista del vertice europeo straordinario sulle migrazioni che dovrebbe essere convocato nelle prossime settimane.

Tra chi intraprende la migrazione c’è la quota dell’8%, più o meno esigua, che ha diritto a ricevere lo status di rifugiato politico. Poi c’è la parte residua, che viene trattata come immigrazione illegale. Dal punto di visto normativo, non eccepiamo. Dal punto di vista della sostanza delle cose si tratta di immigrazione che può essere divisa in tre parti: immigrati che versano, nel momento del tentativo di ingresso, illegale, e spesso a causa dello stesso, in condizioni umane precarie e pre-critiche, che dovrebbero essere messi in sicurezza sanitaria prima di ogni altra decisione.

A chi tocchi, è un’altra questione. Ma a buon senso dovrebbe essere un obbligo solidale europeo. Poi ci sono i migranti che fuggono perché segnalati nei loro paesi per attività illegali, ai quali è doveroso fare attenzione e il respingimento, in questo caso, dovrebbe essere rapido e automatico. Infine ci sono i migranti economici, che sono poi la maggior parte.

Siamo proprio sicuri che il modello adottato non solo da noi italiani, ma da noi europei, sia il migliore possibile? Ci possiamo permettere di etichettarli come illegali senza considerare in che contesto demografico siamo?

L’Italia, in primo luogo, non pullula di stranieri. Guardiamo la tabella subito sotto, da noi elaborata su dati ONU. L’abbiamo prodotta prendendo in considerazione solo i Paesi nel mondo che hanno più di 2 milioni di immigrati residenti (sono immigrati i nati all’estero, si escludono quindi le seconde e terze generazioni, che si suppongono integrate).

Ebbene, in ordine di percentuale di nati all’estero, quindi di stranieri sul totale della popolazione, l’Italia con il 10,56% della popolazione straniera e 6,5 milioni di stranieri è al 23esimo posto. In Europa siamo dietro la Svizzera (28% e 2,5 milioni), la Svezia (19% e 2 milioni), la Germania (18% e 15 milioni). Non sfuggirà che si tratta di paesi con Pil e Pil pro capite ben più fiorente del nostro, quindi difficile dire che gli stranieri deprimano le condizioni dell’economia. Piuttosto probabile l’opposto.

Qui viene il punto. Che senso ha respingere i migranti economici? E che senso avrebbe invece casomai sceglierli?

Non parliamo della selezione che qualcuno pensa che si possa fare sulla banchina di arrivo, ma quella che si potrebbe fare a monte. Le ragioni sono abbastanza evidenti. Se si considera il momento attuale, l’oggi, secondo l’Istat su 2 milioni di disoccupati (che corrispondono a un tasso di disoccupazione del 7,9%), la quota della disoccupazione “difficile”, quella di lungo termine, ossia da oltre 12 mesi (entro i 12 mesi gli altri si reimpiegano nel mercato del lavoro italiano) è pari a 1,1 milioni. Molti dei quali sono difficilmente occupabili perché sono entrati solo recentemente nella forza lavoro (230 mila), o sono totalmente privi di esperienze lavorative (337 mila).

A parte quindi l’urgenza di politiche attive che permettano di rendere impiegabili, attraverso la formazione, queste persone, il tasso di disoccupazione di lungo periodo dell’Italia non è poi così alto (scende dal 7,9% al 4,1%, e si dimezza ancora nelle aree più dinamiche del nord del paese).

Credo che non sia sfuggito che siamo reduci da una stagione estiva con vistose carenze di lavoratori nel turismo. Ma mancano, secondo la stessa Istat, 450 mila persone per coprire posti di lavoro vacanti. Anche considerando la non brillantissima prestazione dell’Italia in termini di produttività, tenersi questo buco equivale a perdere, stabilmente, tra i 25 e i 30 miliardi di Pil. Siamo vicini a un 1,5% che non sarebbe affatto male recuperare.

Questo per quanto riguarda l’oggi. Ma il futuro potrebbe essere perfino peggiore.

Perché i lavoratori disponibili dei prossimi 23-25 anni sono tutti già nati e potrebbero rimpiazzare, migliorando il tasso di occupazione, al massimo il 59% di quelli che progressivamente usciranno dal lavoro.

Non pensiamo che la tecnologia, con i robot e l’intelligenza artificiale, ci risolva tutto il problema del 41% mancante. Forse un quarto di questa quota potrà essere sostituita dalle macchine, ma gli altri potranno solo venire dal resto del mondo: migranti economici.

Se ci pensassimo per tempo, invece di gestire la migrazione con il filtro della legalità, ci procureremmo una politica per scegliere gli immigrati e garantirci flussi di persone istruite, utili e necessarie per evitare che prima o poi ad emigrare siano i posti di lavoro. Sarebbe una colossale perdita, per la seconda economia industrializzata d’Europa.