Sebbene la mobilità internazionale sia di per sé positiva, è necessario distinguere fra la scelta libera e la necessità
5.114.469: è questo il numero degli italiani residenti all’estero nel 2017 certificato dall’Aire, i cui dati notoriamente sottostimano il fenomeno, in aumento del 3,6% rispetto al 2016 (Figura 1). La metà di loro appartiene alla fascia giovane della popolazione: sono ben 2.770.000 i cittadini che hanno lasciato il Paese per stabilirsi in un altro stato europeo. Coloro che, tra i 18 e i 39 anni, compiono questa scelta vengono ormai comunemente chiamati “Expat”, termine che viene definito da Alessandro Rosina in un suo articolo come “un altro neologismo che però mescola aspetti di rischio con quelli di opportunità [termine] che indica i giovani dinamici e intraprendenti, spesso con alto capitale umano, che si muovono senza confini per cogliere occasioni di ulteriore formazione o di rafforzamento professionale all’altezza delle proprie ambizioni”.
Sebbene da un lato la mobilità internazionale sia di per sé positiva in quanto stimola il senso di autonomia, l’apertura mentale e la voglia di mettersi in gioco permettendo così di arricchire le proprie esperienze e di ampliare la rete di relazioni, dall’altro è tuttavia necessario distinguere le due facce della medaglia ovvero quando la mobilità internazionale è una scelta libera, autonoma e consapevole e quando è invece è una necessità dovuta principalmente a fattori socio-economici che caratterizzano un contesto con uno scarso sviluppo e carenti prospettive.
La situazione ideale auspicabile è che la fuga non sia unidirezionale bensì che sia circolare, ovvero che alla facilità di poter andare corrisponda la facilità con cui poter effettuare il percorso inverso e tornare. Tale situazione è purtroppo molto distante da quella attuale in Italia, dove è ancora problematico il riconoscimento dei crediti e dei diplomi e certificati universitari sia per chi viene da paesi terzi sia per i laureati all'interno dell'Unione Europea; dove il 20% dei lavoratori è sovra qualificato e dove oltre il 50% degli Expat è in possesso di un diploma o di una laurea, con un notevole costo fiscale di brain drain (spese sostenute per fornire istruzione a studenti italiani che poi emigrano). Come ben evidenziato da Benedetto Coccia: “Una forte carenza di posti di lavoro, occupazioni e mansioni non adeguate ai titoli di studio, una scarsa attenzione al merito e al riconoscimento delle capacità nel mondo universitario sono alcune delle cause che favoriscono il fenomeno dei cervelli in fuga”.
Oltre alle motivazioni sopracitate, il 72% dei giovani si trasferisce all’estero per guadagnare di più e vivere in paesi con una maggiore stabilità economica, considerando come fattori discriminanti l’economia locale, il dinamismo del mercato del lavoro e la stabilità della situazione politica.
In aggiunta a ciò, è anche interessante sottolineare come non vi siano significative o consistenti differenze di genere per quanto concerne la percentuale di italiani che decide di espatriare ogni anno: sebbene il numero di giovani donne Expat sia lievemente inferiore a quella maschile, i due trend, entrambi positivi, si muovono contemporaneamente (Figura 2).
Si può inoltre notare come l’emigrazione italiana abbia significativamente cambiato pelle negli anni più recenti le migrazioni dalle regioni del Mezzogiorno a quelle del Centro-Nord che hanno invece caratterizzato in maniera sostanziale l’inizio degli anni ’50 e ’70 sono state appena il 10% del totale e da “fuga di braccia” inter-regionale si è passati a “fuga di cervelli” in altri stati, sia europei sia extra continente.
Le regioni da cui emigra il maggior numero di Expat sono quelle del Nord Italia, a seguire il Sud e le Isole e, infine il Centro (Figura 3). Il podio spetta alla Lombardia, seguita da Sicilia, Lazio, Veneto, Campania, Piemonte e Puglia (Figura 4).
Non resta dunque che individuare le principali destinazioni europee e non in cui si trasferiscono gli Expat italiani. Per quanto riguarda i paesi europei (Figura 5), le mete preferite sono, rispettivamente in ordine crescente: Spagna, Francia, Germania e Regno Unito. Quest’ultimo mantiene da tempo il primato sebbene nell’ultimo anno i timori e le preoccupazioni suscitati dalle incerte prospettive post-Brexitpost-Brexit lo abbiano penalizzato provocando una riduzione del numero di Expat pari al 24%. Tra le mete meno ambite vi sono invece la Grecia, il Portogallo e i paesi dell’Est Europa, tra le quali, ad esempio, la Romania, la Repubblica Ceca e la Polonia.
Per quanto concerne infine le varie destinazioni extra Unione europea (Figura 6), la più frequente ed apprezzata dagli italiani è invece la Svizzera, che, per il terzo anno consecutivo, stacca di molto le altre tre mete favorite ovvero Stati Uniti d’America, Brasile e Australia.
Il primato della Svizzera è innegabilmente da imputarsi a fattori come le opportunità di carriera e di rapidità nella scalata dei ranghi aziendali e, non meno importanti, a ragioni di tipo economico in quanto gli italiani che lavorano oltralpe guadagnano infatti in media ben il 54% in più di quanto percepirebbero di stipendio nel nostro Paese.
Una menzione d’onore va al Marocco, l’unico stato africano che in quanto a numero di immigrati italiani è al di sopra della Cina e non è di molto al di sotto dei livelli paesi occidentali come ad esempio il Canada.
Appena sopra le principali città cinesi vi è anche Riad, la capitale dell’Arabia Saudita che vanta stipendi medi maggiori del 58% rispetto a quelli italiani e che potrebbe guadagnare ulteriori posizioni nel ranking generale se riducesse le differenze culturali con l’Occidente, creando ad esempio dei “distretti speciali” all’interno dei quali gli stili di vita occidentali non verrebbero limitati.
Il fattore che accomuna tutti i paesi sopra elencati, nazioni che si posizionano nei posti più alti del ranking di mete più ambite, è la rilevanza strategica data alle politiche di attrazione di giovani di qualità e agli ingenti investimenti che a queste vengono destinati. Una delle principali ragioni che spinge i giovani italiani ad emigrare è infatti la ricerca di un contesto in cui possano vedere riconosciute e valorizzate le loro doti e capacità, sia nell’ambito dell’innovazione tecnologica sia in quello creativo e culturale.
Per tornare a essere attrattiva e competitiva e, al contempo, per incentivare i “cervelli fuggiti all’estero” a rimpatriare, l’Italia deve dunque sfruttare al meglio e interamente il suo potenziale culturale, investendo sia in politiche che stimolino la crescita economica e sociale sia investendo in capitale umano attraverso politiche che favoriscano e stimolino la crescita personale, riuscendo così ad invertire il fenomeno migratorio degli Expat.
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