Sono tanti i dossier aperti e tante le sfide che attendono il neo ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Matteo Salvini. Dalle autostrade alle ferrovie, dall'Alta Velocità alla Tav Torino-Lione, al Ponte sullo Stretto. Il ministro Salvini, a pochi giorni dalla sua nomina, ha rilanciato su Fb: «Vogliamo creare lavoro, disinquinare, sbloccare cantieri ed investire in trasporto su ferro e via mare, ma anche lasciare ai nostri figli un'opera che renderà l'Italia un Paese leader al mondo come il Ponte sullo Stretto, l'opera più avveniristica ed ecologica della storia».
Ma quale è il quadro attuale delle infrastrutture italiane? Emergono luci ed ombre, progetti ambiziosi ma pronti per essere avviati e ritardi in alcuni ambiti, come quello dell'Alta Velocità, che pongono il nostro Paese indietro rispetto ad altri Stati europei. A delineare la situazione è il professor Oliviero Baccelli, direttore del Master in Economia e Management dei trasporti, delle infrastrutture e della supply chain, all'università Bocconi.
«Per quanto riguarda il mondo autostradale - osserva - ci sono delle priorità importanti, che sono strettamente legate al completamento di alcune tratte da parte del Gruppo Autostrade per l'Italia. I nodi principali sono Genova, Bologna e Firenze. Di gran lunga i progetti più urgenti, sebbene costosi e difficili da realizzare. La Gronda di Genova è sicuramente quello più ambizioso e complesso sia per l'orografia, sia per il fatto che sono necessari numerose gallerie e viadotti ma è anche tra quelli che stanno più a cuore al mondo legato al ministro Salvini ed al suo vice Rixi, per cui ci sarà sicuramente un'accelerata in questa direzione». Tempi brevi anche per il passante di Bologna, secondo il professor Baccelli: «Penso che si riuscirà a dare l'avvio al progetto quest'anno o al limite all'inizio dell'anno prossimo».
Un giudizio più cauto riguarda, invece, in ambito ferroviario l'Alta Velocità, «il sistema su cui si è investito sicuramente di più a parole nel corso dell'ultimo decennio - afferma Baccelli - Negli ultimi dieci anni è stato inaugurato, infatti, solo il tratto ad alta velocità di 40 chilometri tra Treviglio e Brescia. Nello stesso periodo la Spagna ha costruito quasi 1000 chilometri di Alta Velocità e la Francia quasi 500 chilometri». Allo stato attuale sono attivi i cantieri di completamento della tratta tra Brescia e Verona, il Terzo Valico di Genova e la Napoli-Bari. «Questi sono i tre cantieri su cui si conta molto per un'accelerazione ed inaugurazione entro i prossimi due -tre anni. Nei primi mesi del 2025 per il Terzo Valico, più o meno le stesse date per la Brescia-Verona ed inizio 2026 per la Napoli-Bari". Ci sono poi i grandi assi transalpini con diversi livelli di maturità: la Torino-Lione ed il tunnel del Brennero, in primis, per i quali sono in corso i lavori per le tratte internazionali ma "nessuna delle due sarà completata prima del 2030».
Ma perchè questo rallentamento? «L'Italia - sottolinea il docente della Bocconi - dopo il grande successo del completamento della tratta Torino-Salerno, che sostanzialmente è avvenuto nel 2009, si è fermata per quanto riguarda i grandi progetti. 40 chilometri inaugurati in dieci anni, mentre la Spagna ha fatto più di 20 volte tanto e la Francia più di 12 volte». Le cause sono molteplici, tra le quali quelle di natura finanziaria: «Dopo il 2009 l'Italia è entrata in crisi e non ne è uscita fino al 2013, fattore che ha provocato stanziamenti più limitati». A ciò si è aggiunto un'incertezza generale sul futuro ed un certo scetticismo sul fatto che l'alta velocità potesse andare a beneficio anche di territori che fossero al di fuori delle grandi aree urbane. «Il sistema Italia insomma non ha creduto in sè stesso sebbene protagonista di un grande successo, quello della Torino-Salerno riconosciuto a livello europeo come caso di best practice per qualità, costi e livello di competizione. Ora - dice ancora - ci si sta muovendo con grande ritardo e non si vedranno nuove tratte inaugurate se non intorno al 2025».
E veniamo al Ponte sullo Stretto. «Io - precisa il professor Baccelli - sono un assoluto sostenitore del collegamento stabile tra Sicilia e Continente. Non esiste che questo non sia affrontato come un problema serio, importante, di priorità nazionale perchè la modalità di attraversamento dello Stretto attualmente è del tutto inefficiente. Il collegamento stabile va fatto». Ma in che modo? Il progetto a campata unica di cui ancora si parla, secondo il parere di Oliviero Baccelli, «è superato: estremamente oneroso, molto impattante dal punto di vista paesaggistico ed ambientale».
Migliore, invece, il giudizio sul progetto abbozzato con uno studio di prefattibilità dalla Commissione che il precedente ministro Giovannini aveva riunito per diversi mesi: quello di un ponte a tre campate. «Progetto migliore perchè avvicina di più i due centri cittadini, dell'area metropolitana di Reggio Calabria e di Messina ed innesta, quindi, un sistema di relazioni diverso rispetto al ponte a campata unica, che risponde solo alle esigenze della media e lunga distanza».
«Quello che penso che sia assolutamente importante - osserva ancora - è andare a vedere cosa è stato fatto negli altri Paesi in questi decenni in cui noi abbiamo discusso infinitamente su "ponte sì - ponte no". In particolare, fra Danimarca e Germania dopo anni e anni di studio, l'opzione che è stata valorizzata è quella di un tunnel subalveo prefabbricato in lotti in un ambito portuale e poi trasferito nella sede per essere montato. Questo comporterebbe grandissimi vantaggi a partire dal fatto che il contesto delle aree di Messina e Reggio Calabria è molto urbanizzato e non solo la realizzazione del collegamento ma anche la fase del cantiere sarebbero molto difficili da gestire. Si potrebbe, invece, realizzarlo in uno dei tanti porti vicini sottoutilizzati e poi trasferire questi lotti prefabbricati per costruire un tunnel subalveo appoggiato su delle grandi colonne simili a quelle dei parchi eolici off shore. Una soluzione che andrebbe studiata, meno invasiva nella fase di cantiere, più semplice da realizzare e meno impattante dal punto di vista paesaggistico».
Questo, dunque, il quadro delle infrastrutture in Italia, ma come impatta su di esso l'attuale crisi derivante dai costi delle materie prime e dell'energia? «L'impatto è evidente e significativo. Le opere di ingegneria civile, tunnel, ponti, viadotti che sono energivore nella fase di realizzazione, hanno avuto degli extra costi importanti e questo, a parità di budget per investimenti costringe a dover limitare il numero di opere da fare. C'è poi il tema dell'incertezza negli scenari di domanda: alcune tipologie di produzioni industriali o alcune aree dal punto di vista demografico hanno risentito in maniera più significativa di altre della attuale crisi e questo ha comportato effetti non più congiunturali bensì strutturali. Ad esempio l’Italia ha perso quasi un milione di abitanti nel corso degli ultimi cinque anni e questo, ovviamente, incide sulla domanda di mobilità e l'esigenza di nuove infrastrutture».
«Un adeguamento rispetto a questi scenari è d'obbligo - conclude il professor Oliviero Baccelli - ma questa non può essere una scusa per non fare niente perchè gli effetti negativi dal punto di vista ambientale, sociale ed economico sarebbero intollerabili».
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