Ottimismo è la parola d’ordine. Se viene sdoganata persino dalla copertina di «Newsweek», magazine dell’establishment americano sempre attento a registrare, se non ad anticipare, gli umori obamiani, vuol dire che è proprio fatta. I declinisti, i pessimisti, quelli alla Ferguson – «La Cina ci mangerà, la superpotenza americana è finita» – possono anche accomodarsi fuori dalla porta: qui, a Washington, ora c’è posto soltanto per il rilancio e per la ripresa.
Era già nell’aria un approccio più vivace alla crisi economica, come dimostra il ritorno di Larry Summers, eminenza grigia della politica economica americana: in televisione, una settimana fa, Summers ha detto che l’emergenza occupazionale è quasi finita, pure se i tempi per un restauro completo saranno lunghi. L’emergenza, più che occupazionale, è elettorale: ci sono le elezioni di mid-term a novembre e l’Amministrazione Obama non può arrivare senza buone notizie, altrimenti il ko è inevitabile. Il Partito democratico non è, come si è visto più volte, animale facile da domare. Ecco che allora l’ottimismo è anche un’esigenza, oltre che un modo di guardare il mondo, come dimostra la versione dell’America tornata gloriosamente muscolosa offerta da «Newsweek».
Certo è che il coro non è soltanto spinto dalla parte democratica, tutt’altro. David Brooks, editorialista conservatore del «New York Times», una settimana fa ha commentato: il peggio è passato, i pezzetti del puzzle si stanno ricomponendo, certo non è che ci sia proprio tutto da festeggiare, però, nonostante i problemi, il futuro dell’America è «enormemente brillante». Un libro – citato anche da Brooks – è sulla bocca di tutti in questi giorni a Washington: s’intitola Rebound: Why America Will Emerge Stronger from the Financial Crisis, e spiega proprio che questa crisi può essere il punto di svolta per una ripresa demografica, economica e sociale, in fondo gli Stati Uniti sono davvero forti nel «disruptive change». Se poi persino il «Wall Street Journal», grande accusatore della politica economica di Barack Obama, inizia a dire che la recessione non c’è più e addirittura che c’è una luce in fondo al tunnel del bailout, allora significa che qualcosa sta cambiando davvero.
Tutto bene, dunque. Anche noi vorremmo unirci al coro della ripresa in atto. Abbiamo però un dubbio che ci sentiamo in dovere di confessare: se tutto ha ripreso a funzionare, perché mai – sempre a Washington – il Fondo Monetario Internazionale ha deciso di incrementare i propri strumenti di intervento da 50 a ben 500 miliardi di dollari? (1). Ricordiamo che l’intervento del Fondo in Grecia è nell’ordine di 15 miliardi. 500 miliardi sono proprio tanti.
(1) http://www.imf.org/external/np/sec/pr/2010/pr10145.htm
Certo è che il coro non è soltanto spinto dalla parte democratica, tutt’altro. David Brooks, editorialista conservatore del «New York Times», una settimana fa ha commentato: il peggio è passato, i pezzetti del puzzle si stanno ricomponendo, certo non è che ci sia proprio tutto da festeggiare, però, nonostante i problemi, il futuro dell’America è «enormemente brillante». Un libro – citato anche da Brooks – è sulla bocca di tutti in questi giorni a Washington: s’intitola Rebound: Why America Will Emerge Stronger from the Financial Crisis, e spiega proprio che questa crisi può essere il punto di svolta per una ripresa demografica, economica e sociale, in fondo gli Stati Uniti sono davvero forti nel «disruptive change». Se poi persino il «Wall Street Journal», grande accusatore della politica economica di Barack Obama, inizia a dire che la recessione non c’è più e addirittura che c’è una luce in fondo al tunnel del bailout, allora significa che qualcosa sta cambiando davvero.
Tutto bene, dunque. Anche noi vorremmo unirci al coro della ripresa in atto. Abbiamo però un dubbio che ci sentiamo in dovere di confessare: se tutto ha ripreso a funzionare, perché mai – sempre a Washington – il Fondo Monetario Internazionale ha deciso di incrementare i propri strumenti di intervento da 50 a ben 500 miliardi di dollari? (1). Ricordiamo che l’intervento del Fondo in Grecia è nell’ordine di 15 miliardi. 500 miliardi sono proprio tanti.
(1) http://www.imf.org/external/np/sec/pr/2010/pr10145.htm
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