Una ribellione sociale senza precedenti ha scosso e indebolito le istituzioni del Cile come non accadeva da anni

Fino al 18 ottobre 2019, il Cile veniva celebrato come uno dei Paesi più stabili dell'America Latina ed elogiato per le sue buone performance macroeconomiche, definite un modello in termini di trasparenza politica e finanziaria. In soli tre mesi da quel giorno, una ribellione sociale senza precedenti, innescata da un aumento dei biglietti della metropolitana a Santiago e alimentata dalla rabbia per le profonde disuguaglianze socio-economiche, ha però scosso e indebolito le istituzioni come non accadeva da anni.

Il presidente conservatore Sebastian Piñera, a metà del suo secondo mandato a marzo 2020, ha visto la sua popolarità scendere fino al 6%, il minimo storico da quando la democrazia è stata ristabilita nel 1990. Una "punizione trasversale" non solo per il ricco uomo d'affari settantenne, ma anche per l'intera classe politica cilena, colta di sorpresa dalla virulenza della protesta
I carabinieri, gli agenti di polizia cileni incaricati del mantenimento dell'ordine pubblico, accusati di numerose e gravi violazioni dei diritti umani nei confronti dei manifestanti, hanno vissuto la stessa caduta vertiginosa: a mala pena il 17% della popolazione ha approvato la loro condotta negli scontri che hanno provocato 29 morti, di cui cinque dopo l'intervento della polizia, e oltre 2.000 feriti.
L'intero sistema politico ha avuto enormi difficoltà nel gestire un vero e proprio terremoto sociale, mostrando incapacità nell’elaborare le informazioni e nel comprendere le richieste di un movimento senza leader e apartitico, critico nei confronti del modello economico ultraliberista e simile per certi aspetti ai gilet gialli francesi.
Né la destra al potere, infatti, né il centro e la sinistra all'opposizione sono riusciti a “recuperare” la rabbia delle strade, che ha attraversato l’intero Paese, ma soprattutto la capitale Santiago, organizzata attraverso gli immancabili social network.

A nulla sono servite anche le agevolazioni sociali concesse dal governo (“Accordo per la Pace Sociale”), come il timido aumento del reddito minimo e delle pensioni di anzianità, i maggiori contributi previsti per il datore di lavoro al regime pensionistico o il congelamento dei prezzi dell'elettricità .
Tra le tante richieste dei manifestanti, proprio la revisione del sistema pensionistico è una delle più sentite. Attualmente, i lavoratori cileni devono versare il 10% del loro stipendio su un conto gestito da uno dei sette "amministratori dei fondi pensione" (AFP), società private che collocano questi risparmi sui mercati finanziari - generalmente traendone enormi profitti – per poi restituire quei fondi ai cileni, calcolando i pagamenti mensili in base all'aspettativa di vita media.
Questo sistema di capitalizzazione individuale, pionieristico nel suo genere, è stato istituito durante la dittatura del generale Augusto Pinochet, ed è stato apertamente definito vergognoso dai manifestanti.


Tuttavia la principale rivendicazione sociale, originariamente prevista per il 26 aprile 2020, è senza dubbio il referendum su una nuova Costituzione che dovrebbe sostituire quella ereditata dalla dittatura di Pinochet.
Il dilagare del coronavirus in Sudamerica ha portato però alla decisione di posporre il voto, come per altri importanti appuntamenti elettorali, fissando il referendum per il 25 ottobre, covid permettendo
I cittadini cileni esprimeranno la volontà di approvare o rifiutare la stesura di una nuova Costituzione, mentre un secondo quesito referendario verterà sulla composizione dell’organo al quale debba spettare la redazione del nuovo testo..
Ulteriori sfide democratiche sono legate a questo appuntamento: il 4 marzo 2020 è stata approvata dal Senato una storica legge in merito alla partecipazione paritaria delle donne nella Convención Constituyente; tuttavia rimane in sospeso il modo in cui garantire la rappresentanza dei popoli originari, così come dei settori della società più svantaggiati.

La pandemia ha ovviamente oscurato e in parte cancellato i risultati raggiunti dal ”modello Cile”, una delle economie in più rapida crescita in America Latina negli ultimi dieci anni, che ha consentito al paese di ridurre significativamente la povertà.
Secondo l dati del FMI, il PIL è peraltro aumentato solo dell'1,8% nel 2019, contro il 4% nel 2018, secondo i dati della World Bank (Figura 1), un rallentamento dovuto a un contesto congiunturale difficile, alle condizioni climatiche avverse e al ritardo di alcune riforme governative. Inoltre, le proteste e le rivolte dello scorso ottobre hanno causato miliardi di perdite alle imprese private e alle infrastrutture pubbliche.
La ripresa economica del Cile, dopo anni di bassi prezzi delle materie prime, si era comunque basata su maggiori consumi e investimenti privati, aumento dei salari, tassi di interesse inferiori, fiducia del settore privato, prezzi del rame (di cui il Cile è primo produttore mondiale) più elevati, produzione mineraria in crescita e, in misura minore, aumento del commercio all'ingrosso e dei servizi commerciali.
Secondo le previsioni del FMI aggiornate all’aprile 2020, a causa del dilagare del COVID-19 la crescita del PIL dovrebbe scendere a -4,5% nel 2020, per poi risalire al 5,3% nel 2021, fatte salve le condizioni economiche globali post-pandemiche.
Secondo la Banca mondiale, le minori entrate dovute al calo del prezzo del rame nei primi mesi del 2020 sono state compensate dalla diminuzione della spesa corrente, e dalla contrazione dei trasferimenti in conto capitale. Tuttavia, a causa del rallentamento del PIL, le autorità hanno deciso di aumentare gli investimenti pubblici e di abbassare il tasso di interesse come misura di politica monetaria.
Il saldo di bilancio del governo si è chiuso al -1,6% del PIL nel 2019 e dovrebbe diminuire al -1,4% nel 2020.mentre ill debito lordo del governo è stato stimato al 27,5% del PIL nel 2019 e dovrebbe salire al 29,2% nel 2020. Secondo le stime del FMI, l'inflazione (Figura 2) ha raggiunto il 2,3% nel 2019 e dovrebbe aumentare leggermente al 3,4% nel 2020: ciò significa che, nonostante la pandemia COVID-19, l'obiettivo della Banca Centrale del Cile del 3% di inflazione è ancora a portata di mano. L'inflazione dovrebbe infatti migliorare grazie alle misure di austerità fiscale annunciate dal Dipartimento del Tesoro, in particolare grazie ai tagli alla spesa dell'1,6% del PIL nei prossimi quattro anni.

L'economia cilena rimane vulnerabile alle oscillazioni dei prezzi internazionali del rame (Figura 3) e alla domanda (in particolare dalla Cina), ai rischi climatici e sismici, alla ricerca e allo sviluppo inadeguati, alla rete stradale e alla rete energetica scadenti, ai prezzi elevati dell'energia e a un sistema educativo arretrato.
Nel contesto della crescente pressione derivante dalla guerra commerciale USA-Cina, la questione principale che il governo cileno deve affrontare per rilanciare la propria crescita economica è rafforzare la cooperazione e gli scambi (Figura 4) con nuovi partner in Asia. L'avanzamento delle principali riforme fiscali, pensionistiche e migratorie rappresenta un'altra grande sfida per l'agenda politica.
Il tasso di disoccupazione relativamente alto del Cile è sceso leggermente al 7,3% nel 2019, ma risentirà anch’esso dell’effetto covid (si è già impennato fino al 13% a luglio 2020 – Figura 5). Il paese ha il PIL pro capite più elevato della regione (circa 15.000 USD, Figura 6), ma anche alti livelli di disuguaglianza: l'attuale sistema fiscale ostacola infatti principalmente le classi a reddito medio e basso.
L'indice Gini, che misura le disuguaglianze di reddito, raggiunge 46,6 (in percentuale) e ha registrato un forte calo nel 2020 .
I settori di attività chiave del Cile includono, come detto, l'estrazione mineraria (rame, carbone e nitrati), i prodotti manifatturieri (trasformazione alimentare, prodotti chimici, legno) e l'agricoltura (pesca, viticoltura e frutta).
Il settore industriale in Cile ha contribuito al 30% del PIL nel 2019 e ha impiegato il 22,8% della popolazione attiva, con un’aumento di 4,3% nel 2019, mostrando segni di una grande produttività.

Il settore agricolo ha viceversa contribuito al 3,6% del PIL e ha impiegato il 9,1% della popolazione attiva nel 2019. L'agricoltura e l'allevamento sono le attività principali nelle parti centrali e meridionali del paese. Le esportazioni di frutta e verdura hanno raggiunto record storici grazie a una strategia vincente implementata negli anni '90 e rivolta ai mercati europei, nordamericani e asiatici. Il Cile è uno dei più grandi produttori di vino al mondo (Figura 7). La posizione del Cile nell'emisfero meridionale consente di offrire frutti fuori stagione ai paesi dell'emisfero settentrionale. Le esportazioni di uva e noci hanno però sofferto a causa della maggiore concorrenza del Perù e del dazio del 100% dell'India sulle importazioni, legato alla più ampia guerra dei dazi fra USA e Cina e che ha aumentato l'offerta e ridotto i prezzi internazionali delle noci.
Il settore dei servizi contribuisce al 57,6% del PIL e impiega circa il 68,2% della popolazione. L'economia cilena deve affrontare tre sfide principali: superare la sua tradizionale dipendenza dal prezzo del rame, poiché la produzione di rame rappresenta il 50% delle esportazioni del paese; sviluppare un approvvigionamento alimentare autosufficiente, poiché l'agricoltura attualmente produce meno della metà del fabbisogno domestico; e aumentare la produttività, soprattutto nel settore minerario.
Ma la vera sfida sarà quella in campo sociale, di fronte alle proteste di una popolazione tradizionalmente fiera e ribelle, già pronta a scendere nuovamente in strada non appena l’emergenza sanitaria si attenuerà.