La situazione economica sempre più difficile mette a rischio i progressi ottenuti nella lotta alla povertà

La situazione in Venezuela diventa ogni giorno più critica. La cronica mancanza di beni di prima necessità sta portando all'esasperazione larghe fasce della popolazione: si susseguono le notizie di saccheggi e violenze, lunghe code si formano di fronte a negozi semivuoti, guardie armate scortano i rifornimenti per impedire che i furgoni per i rifornimenti vengano assaliti per strada.
Per risparmiare energia elettrica il Governo di Nicolás Maduro ad aprile è dovuto ricorrere a blackout programmati di circa quattro ore al giorno e ha dovuto ridurre il numero delle giornate lavorative settimanali dei dipendenti pubblici. Oltre a beni di prima necessità e prodotti di largo consumo, come carta igienica e prodotti alimentari, sono insufficienti anche le scorte di farmaci: infatti, la fortissima svalutazione della valuta venezuelana, il Bolivar, rende difficile per il Governo procurarsi all'estero la quantità necessaria di medicinali, con conseguenze drammatiche soprattutto per i soggetti afflitti da malattie croniche.

La situazione economica del paese è estremamente difficile: il calo delle quotazioni del petrolio ha rappresentato un colpo durissimo per l'economia venezuelana che dipende pesantemente dalle entrate petrolifere; il PIL è sceso del 5.7% nel 2015 (Figura 1 e Figura 2); la disoccupazione sfiora oramai il 15% e l'elevatissimo tasso d'inflazione (Figura 3), che ha raggiunto il 180% nel dicembre 2015, secondo i dati forniti dal Governo (ma che non viene registrata in maniera corretta dalle statistiche governative locali, dato che si attesta oltre il 275% secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale), ha causato una drastica riduzione del potere di acquisto per larghe fasce della popolazione. Per avere un'idea ancora più definita della gravità della situazione basti pensare che il deficit relativo al solo 2015 (Figura 4) è stato del 20% del PIL (secondo le stime della Banca Mondiale) e che l'inflazione elevatissima e la svalutazione del Bolivar rendono estremamente complicata l'importazione delle materie prime necessarie a garantire il funzionamento delle fabbriche.


Il Paese sta scivolando nel caos mentre il Governo cerca di attribuire la colpa ad una presunta guerra economica che sarebbe portata avanti da imprenditori legati alla coalizione di centrodestra col sostegno degli Stati Uniti. Ma per quanto sia difficile negare che una parte importante della società venezuelana non abbia mai accettato la rivoluzione bolivariana di Hugo Chávez e che a Washington non dispiacerebbe un cambio al vertice a Caracas, le cause della crisi sono altre e chiamano in causa l'inadeguatezza delle politiche economiche portate avanti dai governi chavisti.
Il Governo di Maduro ha risposto a questa situazione con un decreto d'emergenza che autorizza il governo a nazionalizzare le imprese che non riescono a mandare avanti la produzione, ma difficilmente queste misure funzioneranno, così come come non ha funzionato la politica di prezzi imposti che ha avuto l'unico risultato di causare la scomparsa dei beni dagli scaffali dei negozi, dato che il grosso delle merci è finito sul mercato nero dove i prezzi sono molto più alti e i profitti assai superiori. La corruzione è, infatti, un'altra piaga che affligge il Paese e che coinvolge in prima persona i funzionari del Governo che cercano in ogni modo di favorire parenti e amici.
Ma i problemi per Maduro non finiscono qui: la vittoria delle opposizioni nelle elezioni legislative del 6 dicembre 2015 ha creato per la prima volta un contrappeso al potere assoluto del governo chavista. I chavisti hanno reagito con poco fair play alla sconfitta: l'assemblea parlamentare in uscita subito dopo le elezioni ha imbottito la Corte Suprema di giudici di area chavista, suscitando l'ira delle opposizioni che hanno vanamente sottolineato l'incostituzionalità di questa manovra.
La Mesa de la Unidad Democratica (questo il nome della coalizione delle opposizioni) ha reagito lanciando una raccolta di firme per sostenere un referendum per destituire Maduro, evenienza prevista dalla costituzione venezuelana, e in poco tempo sono state raccolte oltre due milioni di firme. Ma il Consiglio elettorale (CNE) sta cercando di ostacolare il referendum, rifiutandosi di convalidare migliaia di firme per presunti errori formali: questo atteggiamento è volto probabilmente a prendere tempo, al fine di favorire la causa chavista. Infatti, se il referendum per la destituzione del Presidente dovesse aver luogo in una data successiva al gennaio 2017, Maduro avrà la possibilità di cedere il potere al suo Vice-Presidente, garantendo la continuità del regime chavista almeno fino al marzo 2019.

Ma cosa ha portato il Venezuela a una condizione così drammatica?
Uno dei fattori scatenanti delle crisi è sicuramente il già citato calo delle quotazioni del petrolio. Il prezzo del greggio è crollato dai 95 dollaro al barile del gennaio 2014 ai 24 dollari del gennaio 2016 e, se è pur vero che negli ultimi mesi le quotazioni del greggio sono risalite, è altrettanto vero che non lo hanno fatto in misura sufficiente per rimettere in sesto conti pubblici venezuelani.
Gli introiti derivanti dal petrolio sono la principale fonte di valuta estera del Venezuela e proprio l'idea che quegli introiti dovessero essere redistribuiti meglio e che ne dovessero beneficiare anche le fasce più povere della popolazione è stata alla base della rivoluzione bolivariana promossa da Hugo Chávez, dalla sua elezione a presidente nel 1999 e fino al suo ritiro poco prima della morte nel 2013, e portata avanti da Maduro. Il Venezuela ha beneficiato delle alte quotazioni del greggio nel primo decennio del secolo e ne ha approfittato per aumentare la spesa pubblica e finanziare ambiziosi programmi di inclusione sociale: sotto la guida di Hugo Chávez, il Governo venezuelano ha nazionalizzato oltre 1200 imprese nel settore minerario, energetico, bancario e delle telecomunicazioni, cercando inoltre di estendere il welfare a fasce di popolazione che ne erano storicamente escluse.
Il tentativo di ridurre la povertà aveva avuto inizialmente risultati positivi: la povertà relativa era scesa dal 50% del 1998 al 30% del 2013 ed anche l'indice di disuguaglianza era sceso in maniera significativa, testimoniando la volontà del governo chavista di redistribuire più equamente la ricchezza. Tuttavia, quello che è mancato è stata la consapevolezza di quanto dipendente dalle entrate petrolifere fosse diventato il Paese: le entrate derivanti dalle esportazioni di prodotti petroliferi rappresentavano nel 1998 il 70% del totale delle esportazioni mentre erano salite al 98% nel 2013 (Figura 5).
Particolarmente miope è stata la scelta di non accumulare riserve quando le quotazioni petrolifere erano alte, scelta probabilmente dettata da motivazioni politiche e dall'ansia di mostrare che il modello chavista era in grado di generare ricchezza. Questo stesso desiderio ha portato Hugo Chávez a ricorrere al debito estero per finanziare le importazioni e dare una parvenza di benessere all'elettorato. Il risultato di queste politiche è stato però che il debito pubblico crescesse notevolmente tra il 2006 e il 2012, infatti nel 2015 il rapporto tra debito pubblico e Pil ha raggiunto il 100%. Di fronte a questa situazione, Maduro, vista l'impossibilità di finanziarsi ulteriormente sui mercati internazionali, è stato costretto a stampare moneta generando un'iperinflazione.

Un altro aspetto preoccupante e che non induce all’ottimismo, riguarda la personalità di Nicolás Maduro: l’attuale Presidente non sembra possedere il carisma e l'acume del suo predecessore, Hugo Chávez. Ex autista di autobus e sindacalista, Maduro è stato Ministro degli Esteri tra il 2006 e il 2013 e Vice-Presidente del Venezuela dal 2012 al 2013. Dopo la morte di Chávez divenne Presidente ad interim e riuscì a ottenere una risicatissima vittoria nelle elezioni presidenziali del 14 aprile 2013. Da allora governa andando avanti a forza di decreti d'emergenza.
Maduro non sembra aver il pieno controllo della situazione e ha persino minacciato di usare l'esercito per reprimere eventuali rivolte. E' stato inoltre costretto ad aumentare il prezzo della benzina, riducendo i sussidi governativi che rendevano le pompe di benzina venezuelane le più economiche del mondo. Oggi, dopo il crollo dei consumi e degli investimenti del settore privato, l'economia del Paese dipende principalmente dal settore pubblico.
Ciò avviene nonostante il Venezuela possieda le più grandi riserve petrolifere al mondo anche se è opportuno specificare che una parte consistente di queste riserve è rappresentato da un tipo di petrolio detto extra-pesante, che ha caratteristiche che rendono l'estrazione parecchio complicata: proprio in virtù di questo, sarebbe importante investire su tecniche di estrazione più moderne e soprattutto migliorare la gestione della PDVSA, la compagnia petrolifera statale venezuelana, la cui guida è stata affidata a fedelissimi del regime che si sono rivelati largamente inadeguati al compito loro affidato.
Appare dunque evidente la necessità di una maggiore diversificazione delle esportazioni, attenuando la dipendenza dai prodotti petroliferi, così come sarebbe altrettanto importante stimolare gli investimenti esteri che sono stato scoraggiati da una legislazione estremamente punitiva da parte dei Governi chavisti ed attuare misure volte ad aumentare la competitività del Paese (Figura 6 e Figura 7).
Interventi di questo tipo si reputano assolutamente necessari se non si vogliono mettere a rischio quei progressi in tema di lotta alla povertà (Figura 8) e di inclusione sociale che costituiscono la principale eredità positiva dell'esperienza chavista.