Nell’ultimo anno la profondità delle acque del Mar Caspio si è ridotta di oltre il 20 percento, seguendo una tendenza in atto dagli anni novanta del secolo scorso. Allo stesso tempo, il riscaldamento globale e lo sfruttamento industriale influiscono pesantemente sulle coste, riducendone l’estensione.
Se ciò non minaccia l’esistenza stessa di quello che è il più grande bacino idrico terrestre, lungo 1.200 km, con una larghezza media di 310 km e una superficie di 371.000 km² ( di poco superiore a quella dell’Italia!), le conseguenze del degrado di questo lago salato o mare interno che dir si voglia sono numerose.

La funzionalità dei porti, specialmente di quelli minori e di quelli situati nel quadrante settentrionale, diminuisce. Inoltre, le navi devono alleggerire il carico. Aumenta il traffico e crescono i costi. È così a rischio il corridoio North-South, che la Russia vorrebbe viceversa incrementare ulteriormente, come pure, in misura minore, la One Belt, One Road Iniziative della Cina che utilizza il Caspio per spedire i container attraverso l’Asia Centrale. Di conseguenza, Mosca e Pechino sono ora in difficoltà sulle possibiltà di un utilizzo futuro di questa via di trasporto. A essere in difficoltà è anche il Kazakhstan, che negli scorsi anni ha perso oltre 50 chilometri di costa e, di conseguenza, potrebbe dover abbandonare sia il corridoio russo North-South sia la One Belt, One Road Initiative cinese.

Il declino del livello delle acque previsto entro il 2100

Fonte: : Samant & Prange 2023 - Financial Times

L’alternativa sono le vie di terra, attorno al Mar Caspio, ma qui il problema è duplice: l’instabilità regionale e le poche strade percorribili, non adeguate. Per ora, il corridoio russo e quello cinese continuano a essere operativi, seppur a una capacità inferiore. Potenziare la via acquatica attraverso il Mar Caspio sarebbe la soluzione più conveniente, ma non sembra essere praticabile : aumentare la frequenza dei passaggi, con navi a carico alleggerito, oppure costruire nuovi bastimenti potrebbero essere due soluzioni, ma non è così: la Russia non è in grado infatti di potenziare la costruzione di navi e quelle che ha sono usurate e mancano della manutenzione necessaria. Da parte sua, la Cina sta iniziando ma non è ancora pronta.
La Cina ha peraltro moltepilici opzioni alternative: via terra attraverso l’Asia Meridionale, oppure attraverso l’Artico e il Mare del Nord. Nel caso della Russia i problemi sono maggiori, viste le suddette incognite presenti nel Caucaso e inAsia Centrale. L’inadeguatezza è in parte motivata dalla mancanza di volontà politica nell’investire in infrastrutture, ma anche dalle condizioni climatiche estreme di queste regioni. Basti pensare all’Asia Centrale, dove si passa dai meno 30 gradi dell’inverno ai più 50 gradi dell’estate: il fondo stradale non regge e, tenuto conto che si tratta di migliaia di chilometri, la manutenzione non è un fatto scontato.

Oltre alla dimensione commerciale, i minori livelli delle acque del Mar Caspio hanno conseguenze anche militari: il presidente russo Vladimir Putin non è più in grado di spostare la flotta nel Mar Caspio e attraverso il canale Volga-Don per combattere contro l’Ucraina. E forse qui sta la soluzione: come già fatto nel canale Volga-Don, Mosca in prima battuta potrebbe tentare di dragare una parte del Caspio, coinvolgendo in queste operazioni l’Iran e la Cina, un’ipotesi peraltro ardita e non semplice da realizzare. In secondo luogo, il presidente russo potrebbe fare pressione sui Paesi del Caucaso e dell’Asia Centrale – Kazakhstan, Uzbekistan e Turkmenistan - affinché espandano la loro rete ferroviaria e anche le strade a lunga percorrenza.

Fonte: savethecaspiansea.com

Si tratta, in ogni caso, di progetti di lungo periodo che avranno bisogno di anni di lavori. Per noi, in Italia, potrebbero sembrare storie di un altro mondo. Eppure, sono questioni di grande importanza anche per il nostro Paese, soprattutto in questa fase storica in cui il presidente statunitense Donald Trump impone dazi all’Europa. Guardare a Oriente, alla ricerca di mercati alternativi rispetto agli Stati Uniti, è indispensabile. Non a caso, il presidente del consiglio aveva in agenda per il 25 aprile una visita di Stato a Tashkent, la capitale dell’Uzbekistan (ora cancellata in seguito alla morte di Papa Francesco), mentre i leader dei paesi dell'Asia Centrale e dell'Unione Europea, guidati da Ursula von der Leyen e Antonio Costa, si erano già incontrati a Samarcanda, il 3 e 4 aprile per rafforzare la cooperazione economica e politica.
Nel commercio estero dell'Uzbekistan, l'Unione Europea è al terzo posto tra i partner commerciali per volume di fatturato commerciale, esportazioni e importazioni, dopo la Cina e la Russia. Nel 2024, la quota dei paesi dell'UE nel commercio estero dell'Uzbekistan è stata del 9,7% nel fatturato commerciale,  del 6,3% nelle esportazioni e del 12% nelle importazioni. In ballo non c’è soltanto il business: già nel luglio 2017, infatti, Stefano Manservisi, Direttore Generale per la Cooperazione Internazionale e lo Sviluppo della Commissione Europea, durante una sua visita a Tashkent, ha dichiarato che “l'Unione Europea considera l'Uzbekistan un partner strategico”. In Uzbekistan, così come negli altri Paesi dell’area, la Russia continua peraltro a esercitare un ruolo di rilievo e suoi rapporti con l’ Iran sono quelli che più interessano gli analisti. Teheran è infatti un partner chiave per Mosca in molteplici aree: nella cooperazione militare, nel business e in termini strategici nel Medio Oriente. Non è però un’alleanza del tutto lineare e le contraddizioni sono evidenti, come mostrano  alcuni esempi.

Nonostante siano stati firmati accordi per rafforzare la cooperazione militare, in passato la Russia aveva infatti votato a favore della risoluzione 1929 del 2010 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, contro l’Iran. Inoltre  si era rifiutata di consegnare il sistema antimissile S-300 all’Iran, così come il viceministro russo per gli Esteri Andrey Rudenko ha recentemente dichiarato che la Russia non fornirà assistenza militare a Teheran nell’eventualità di un attacco statunitense. D'altra parte, il presidente Donald Trump sta premendo sulla Russia per obbligare la leadership iraniana a firmare un nuovo accordo nucleare, per scongiurare l’eventualità che la Repubblica islamica acquisisca l’atomica e, a stretto giro, che anche i paesi vicini (Arabia Saudita, Turchia, Egitto) si lancino in una pericolosa corsa al riarmo nucleare.
La  Russia ha viceversa contribuito all’ingresso dell’Iran nei BRICS e nella Shanghai Cooperation Organization, offrendo a Teheran un’alternativa economica a fronte del regime sanzionatorio imposto dal Tesoro statunitense, a cui si sono piegati anche i paesi dell’Unione Europea, che, in seguito alle sanzioni secondarie imposte dal primo governo Trump, hanno interrotto i rapporti commerciali con l’Iran (di fatto non rispettando i termini  dell’accordo nucleare  JCPOA voluto da Obama  nel 2015).

Nel 2024 gli scambi commerciali tra Russia e Iran sono stati di 1,9 miliardi di dollari, mentre nello stesso anno gli scambi tra Mosca e Washington hanno segnato il minimo degli ultimi trent’anni (3,27 miliardi di dollari). In ambito energetico, Teheran e Mosca restano  però concorrenti e la loro vicinanza è comprensibile soltanto in un’ottica antistatunitense.
In termini strategici, in un Medio Oriente in fiamme la diplomazia di Mosca gioca comunque su più tavoli: è in buoni rapporti con l’Iran, ma anche con l’Arabia Saudita e con Israele. Ed è evidente che la Russia persegue esclusivamente i propri obiettivi, con la consapevolezza dei limiti imposti dalle energie drenate dalla guerra contro l’Ucraina, come si è visto nel mancato intervento per  salvare il presidente siriano Bashar al-Assad a inizio dicembre 2024.