La discussione sugli esiti delle elezioni statunitensi di medio termine, che si celebreranno a novembre, sale di tono, anzi ormai è incandescente (1). Tutto parte dal deficit e dal debito degli Stati Uniti. Il deficit, che alimenta il debito, è soprattutto figlio della caduta delle entrate, e non, come si potrebbe credere, della maggior spesa per i sussidi ai disoccupati e per i salvataggi del settore finanziario. La caduta delle entrate è, a sua volta, figlia e della crisi e delle minori imposte che il governo raccoglie, in seguito alla decisione di ridurre le aliquote presa da Bush II. I numeri che giustificano quanto appena asserito sono qui (2) e qui (3).
Bisogna dunque alzare le imposte? Secondo i Repubblicani non lo si dovrebbe fare. I Repubblicani – certo non tutti – seguono l’idea che le minori imposte incentivano l’intraprendenza. La maggior intraprendenza, alla fine, produce un maggior reddito. Il maggior reddito, a sua volta, produce un maggior carico di imposte, anche se le aliquote sono minori. Il deficit pubblico all’inizio aumenta, ma poi si riduce, grazie all’intraprendenza che genera imposte. E dunque anche il debito pubblico prima aumenta e poi si contrae (in rapporto al reddito nazionale).
Perciò si può comunicare all’elettorato che è possibile ridurre le imposte senza tagliare la spesa pubblica. I ricchi e gli intraprendenti saranno lieti, mentre i poveri e i pigri saranno indifferenti, perché non registrano una riduzione del proprio tenore di vita assoluto, ma solo di quello relativo (nel senso che il reddito dei ricchi e degli intraprendenti cresce di più).
E se le cose andassero male, ossia, se le minori aliquote non generassero il circolo virtuoso di cui si è appena detto? Si possono sempre tagliare le spese non militari. Più precisamente, intanto che il debito pubblico continua a crescere, si può tentare di tagliare la spesa pubblica, sempre che i rendimenti sul debito pubblico, di fronte a tanta incertezza, non salgano troppo.
Se i Repubblicani a novembre diventassero – come non è improbabile – la maggioranza parlamentare, potrebbero impedire ogni aumento delle imposte, essenzialmente le imposte ridotte da Bush II per un periodo limitato, che vengono a scadenza. Si avrebbe così il lato della spesa difeso dai Democratici con quello delle entrate difeso dai Repubblicani. Con il sistema politico bloccato, il deficit pubblico continuerebbe a essere cospicuo e ad alimentare il debito. Detto in termini più precisi, il sistema politico non mostrerebbe segno di poter portare sotto controllo la dinamica del debito. Ricordiamo che per portare sotto controllo la dinamica del debito, gli Stati Uniti debbono varare delle manovre di entità greca (4).
Intorno a novembre potrebbe iniziare la «resa dei conti» fra i rendimenti bassi sul debito pubblico e il debito pubblico crescente. I rendimenti bassi (ossia i prezzi alti: i rendimenti bassi sulle obbligazioni, data la fissità della cedola, si ottengono solo con i prezzi alti) sono in contraddizione con un’offerta crescente. È uso in economia che un’offerta crescente per suscitare una domanda crescente debba alla fine abbassare i prezzi. Ossia, nel caso delle obbligazioni emesse dal Tesoro degli Stati Uniti, i loro rendimenti debbono salire.
(1) http://blogs.ft.com/martin-wolf-exchange/2010/07/25/the-political-genius-of-supply-side-economics/#more-506
(2) http://www.cbpp.org/cms/index.cfm?fa=view&id=3036
(3) http://www.imf.org/external/pubs/ft/fm/2010/fm1001.pdf
(4) http://www.centroeinaudi.it/ricerche/un-futuro-quaresimale.html
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