Per capire se si ha ripresa o meno, si prendono l’indice dei nuovi ordini e l’indice del magazzino (il lead indicator). Se la variazione dei nuovi ordini è positiva, si svuota il magazzino. Se la variazione dei nuovi ordini è negativa, si riempie il magazzino. Negli Stati Uniti gli ultimi numeri mostrano un rallentamento dell’economia: i nuovi ordini sono in flessione e perciò aumenta il magazzino. Il dato mensile è confermato da quello calcolato sugli ultimi mesi (1).
Il mercato monetario e quello delle obbligazioni sembrano essere d’accordo con il lead indicator, perché scontano una crescita economica modesta. Le aspettative sul tasso d’interesse della Federal Reserve fra due anni è passato dal 2,4% a marzo 2010 all’1,2% in questi ultimi giorni. I rendimenti delle obbligazioni a lungo termine sono oggi intorno al 3%. Solitamente, queste ultime hanno un rendimento che è circa pari alla crescita reale e nominale dell’economia. Poiché l’inflazione attesa dai mercati – misurata come differenza fra i rendimenti delle obbligazioni «normali» e quelle «indicizzate» – è intorno all’1%, si deduce che la crescita reale attesa è del 2% (2).
I risultati delle grandi imprese quotate che stanno uscendo in questi giorni sono frequentemente migliori delle previsioni sul versante degli utili, ma raramente migliori sul fronte dei fatturati. I risultati sono quindi vicini a quelli che si possono avere con una ripresa modesta tagliando i costi e perciò non smentiscono quel che pensano i mercati monetari e obbligazionari. Il miglioramento dei risultati delle banche nel secondo trimestre del 2010 è spesso il frutto dei minori accantonamenti.
Nel corso dell’anno si è registrato un andamento molto simile delle azioni e delle obbligazioni. Quando il prezzo delle prime scendeva ( = aspettativa di una minor crescita), il prezzo delle seconde saliva ( = aspettativa di una minor crescita, ossia il prezzo sale per comprimere il rendimento, dal momento che la cedola è fissa). E viceversa. Dagli inizi di luglio accade che i rendimenti delle obbligazioni scendono ( = aspettativa di una minor crescita), mentre i prezzi delle azioni salgono (3). La spiegazione potrebbe essere che le azioni delle imprese maggiori salgono, perché gli utili, che dipendono più dall’internazionalizzazione e dal taglio dei costi che dalla domada domestica, aumentano più delle previsioni.
La combinazione di una politica monetaria ancora lasca con dei rendimenti delle obbligazioni bassi, infine, non favorisce il corso del dollaro. Il dollaro è passato da un cambio di 1,2 contro l’euro a uno di 1,3 in poche settimane.
I fondi d’investimento, che detengono negli Stati Uniti un quinto delle azioni, raccolgono nel campo delle obbligazioni e registrano riscatti nel campo monetario e azionario. Possiamo quindi dire che «le masse» la pensano come il mercato monetario e obbligazionario.
Abbiamo, in conclusione, una sorta di «equilibrio di sottoccupazione», con le grandissime imprese che spesso vanno bene. Resta da vedere se questo equilibrio si potrà mantenere quando, verso la fine di quest’anno, emergerà la contraddizione fra un’offerta crescente di debito pubblico e i rendimenti bassi (4) (5).
(1) http://blogs.ft.com/econoclast/files/2010/08/ftblog.gif
(2) http://www.zerohedge.com/article/bloomberg-tries-make-sense-market-hundreds-pretty-charts-fails
(3) http://www.centroeinaudi.it/images/lettera_economica/divergenza.jpg
(4) http://www.centroeinaudi.it/ricerche/la-resa-dei-conti.html
(5) http://www.cbo.gov/ftpdocs/116xx/doc11659/07-27_Debt_FiscalCrisis_Brief.pdf
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