Prodotto ancora sconosciuto ai più, con proprietà nutrizionali e agronomiche fuori dal comune, la quinoa potrebbe avere un ruolo importante per combattere la malnutrizione

 

Un pianeta sempre più popolato e a rischio di emergenze alimentari, dove la globalizzazione tende a omogeneizzare gli stili di vita e quindi anche i cibi prodotti e consumati, avrà probabilmente bisogno in futuro di nuove fonti di sostentamento.
Le politiche agricole e l’attuale agricoltura intensiva tendono a favorire le grandi industrie, i prodotti confezionati e le monocolture, in modo particolare grano, mais e soia, a scapito soprattutto di quelle di antiche tradizioni nei paesi meno sviluppati.

In quest’ottica di salvaguardia e promozione delle differenze e di stimolo per il futuro dell’agricoltura, l’assemblea generale della Nazioni Unite aveva dichiarato il 2013 “Anno internazionale della Quinoa”, nell’indifferenza generale dell’opinione pubblica verso questo tipo di iniziative.

Prodotto ancora sconosciuto ai più, con proprietà nutrizionali e agronomiche fuori dal comune, la quinoa cresce e viene coltivata da oltre 5000 anni quasi esclusivamente nelle regioni degli altipiani andini ad altitudini comprese tra 3800 e 4200 metri. Accostata erroneamente ai cereali (dalla sua lavorazione si ottiene una farina) e consumata come il riso (bollita, in insalate o in preparazioni simili alla paella), la quinoa è un raccolto annuale in realtà più vicino alla famiglia degli spinaci, con grande adattabilità alle condizioni climatiche e resistenza alla siccità, contiene tutti gli aminoacidi essenziali, gli oligoelementi e le vitamine ed è priva di glutine.
Rispetto a mais, riso e grano, ha più alto contenuto di minerali e acido folico, oltre che di proteine e grassi monosaturi.

Essendo venerata dagli Inca come pianta sacra (il suo nome in quechua significa madre di tutti i semi), fu osteggiata dalla cultura cattolica dei conquistadores spagnoli che ne scoraggiarono la coltivazione a favore del grano (la globalizzazione non è certo un’invenzione dei nostri tempi..); solo in seguito, quando apparve evidente il miglior adattamento della quinoa all'ambiente andino, la sua coltivazione riprese piede.

Le sue eccezionali proprietà, che potrebbero essere sfruttate per combattere fame e malnutrizione, hanno dunque spinto le Nazioni Unite a conferire alla quinoa questo riconoscimento formale teso ad aumentarne la diffusione, che nel 2012 ha già raggiunto le 30.550 tonnellate esportate verso USA, Canada e UE, il triplo del 2007.
La produzione si concentra per il 90 per cento nelle regioni andine di Bolivia e Perù (Figura 1), ma anche in Cile ed Ecuador con quote più modeste. Negli ultimi anni è iniziata la coltivazione negli USA e a livello ancora minimo in Danimarca, Regno Unito, Germania, Italia, Francia e Spagna e in Africa.

La Bolivia da sola ha prodotto globalmente il 45 per cento nel 2011, con ritmi cresciuti negli anni che dovrebbero averla portata a superare il Perù nel 2012, e almeno la metà del raccolto è destinato alle esportazioni (Figura 2). Il Perù dal 1997 al 2011 è stato il primo produttore mondiale (48%), ma il paese ha tradizionalmente privilegiato finora il consumo domestico.
I dati per gli altri paesi non sono ancora ufficiali, ma tentativi sono in corso un po’ in tutto il mondo, negli USA fin dalla metà degli anni ottanta.
Le stime più recenti per il 2013 segnalano un’ulteriore decisa espansione boliviana, ma anche il Perù segue la medesima politica agricola che ha ormai posto lo sviluppo della quinoa come priorità nazionale, con conseguenti forti investimenti.

Fino al 2000 il commercio globale di quinoa aveva un volume modesto, meno di 2.000 tonnellate all’anno. La svolta si è compiuta soprattutto dal 2005 (8.000 tonnellate)  in poi, fino alle 45.256 del 2012 provenienti per il 64 per cento dalla Bolivia e il 26 per cento dal Perù, con un aumento del valore dell’export da 13 a quasi 79 milioni di dollari .Gli Stati Uniti sono di gran lunga il primo paese importatore, assorbendo nel 2012 il 64 per cento dell’export boliviano e peruviano contro il 19 per cento dell’UE, ma nel 2007 le parti erano invertite (Figura 3).
I prezzi dell’export di quinoa si sono sostanzialmente stabilizzati negli ultimi anni, pur essendo più che raddoppiati rispetto ai livelli del 2007 (Figura 4).

Il forte aumento di produzione, teso soprattutto a sostenere l’export, ha sì favorito economicamente i paesi d’origine e le popolazioni indigene, ma ha altresì diminuito in maniera significativa la disponibilità per l’uso domestico con conseguenti cali del consumo pro capite (Figura 5), per quanto la recente esplosione del fenomeno mostri ancora dati lontani dal fornire una linea di tendenza precisa.

L’inclusione della quinoa nel commercio globale solleva ulteriori questioni. I coltivatori locali (circa 130.000 in tutto il Sudamerica) resteranno i principali beneficiari di questo boom? La maggioranza di questi sono famiglie povere, con le donne coinvolte in prima persona nell’intero processo produttivo, e hanno una produzione irregolare finora orientata soprattutto ai loro bisogni alimentari. Nel 2011 erano ancora solo 2.000 quelli coinvolti dall’economia di mercato in Bolivia, in genere privi dei mezzi e delle capacità per affrontare la nuova sfida, il che fa sorgere l'esigenza per essi di riorganizzarsi per non essere marginalizzati, attraverso l’introduzione di tecniche agrarie e di materiali moderni.

Una seconda preoccupazione riguarda i livelli dei prezzi  e dei conseguenti guadagni per gli agricoltori andini.
Le stime sul nuovo fenomeno dicono che finora il guadagno dei produttori si sia aggirato attorno a un terzo del prezzo dell’export, una cifra non indifferente che garantisce loro un potere significativo nelle transazioni, ma anche in questo caso l’evoluzione futura pare destinata a non favorirli, se i governi locali non interverranno con norme a loro tutela.

Il terzo problema potrebbe riguardare l’alimentazione stessa dei nativi andini, nel caso in cui i prezzi si impennassero ulteriormente. Già ora, dato che i prezzi alla produzione hanno seguito la crescita di quelli dell’export, i più poveri hanno sostituito il consumo di quinoa con alimenti meno costosi ma con livelli nutrizionali inferiori, quali pane, pasta o riso. Bisogna altresì ricordare che la quinoa è alimento consumato in misura significativa solo in alcune regioni degli altipiani; in conclusione quindi è ragionevole pensare che i benefici per le economie andine e per gli stessi abitanti dovrebbero essere maggiori dei danni.

Detto delle potenzialità e dello sviluppo di questa coltura, a breve termine il fenomeno resta ancora confinato fra i consumi di nicchia per i cosiddetti consumatori consapevoli dei paesi ricchi, a causa del prezzo elevato che non la rende competitiva con i prodotti analoghi (il riso costa circa cinque volte meno..). Il successo o meno degli esperimenti di coltivazione su scala mondiale e le politiche agricole di Stati Uniti, Cina ed Unione Europea decideranno del futuro di questa fonte di alimentazione altern