Registriamo con favore l'accordo provvisorio sull'AI Act a Bruxelles. Un passo in avanti. Anche perché il dibattito si allarga. D'altronde, diciamolo:

è perlomeno ingenuo guardare all’IA generativa senza guardare all’industria che la promuove e ai cambiamenti nel potere economico e culturale che accompagnano il dominio delle tecnologie digitali sul pianeta. Ogni prodotto digitale accelera cambiamenti nelle nostre abitudini, nella distribuzione della ricchezza, nella capacità collettiva di pretendere cambiamento: ci abituiamo a leggere meno, a capire nulla, a vedere tutto; ci abituiamo a delegare memoria, informazione, decisioni a App e macchine; ci abituiamo a seguire il navigatore per andare in panetteria.

Diventiamo tutti più poveri perché pochi diventino molto più ricchi; non ci interessiamo del prossimo perché è “You” e non è “I”, la sola cosa che per alcuni conta. Non ci informiamo davvero, non partecipiamo alle elezioni perché Amazon -. per ora – non si presenta. Il neoliberismo digitale e la restaurazione L’avvento del digitale di massa – parlo di Internet – è nato come una rivoluzione, colma di promesse: conoscenza per tutti, democrazia. Dopo un Novecento di conflitti sociali è arrivato il cambio di millennio proprio insieme con il successo del neoliberismo accelerato dallo stesso digitale. La rivoluzione digitale si è involuta come molte altre, producendo restaurazione: le promesse si sono rivelate illusioni, il mondo è diventato meno democratico e molto più piatto, un nordcoreano oggi anela agli stessi valori di un vaccaro di Jackson Hole.  

La Rivoluzione digitale ha cambiato tutto? No, non proprio tutto. Non ha toccato il capitalismo, anzi lo ha accelerato. Le parole sono importanti, ragionavo poco tempo fa su Mondo Economico.  

Il nuovo linguaggio 

Forse, dovremmo incominciare a usare termini più corretti: la restaurazione digitale, il calcolare (non il capire) sempre più rapido e potente delle macchine… Dovremmo bandire ogni chiacchiera che antropomorfizza le macchine: ho chiesto a Chat GPT / mi ha detto / le ho risposto … Ci serve in realtà un nuovo linguaggio. Forse. Forse è più serio usare il linguaggio di sempre, e continuare con: «Chat GPT ha calcolato che la probabilità che oggi in Italia si associ alla parola governo la parola fallimento è bassa, ma si può verificare che la correlazione tra le due parole, prima negativa, sia ora da qualche mese di segno positivo». Di questo parlano i filosofi, che ci ricordano che semantica e sintassi sono cose ben diverse; e quando concetti così basilari sono confusi, è lecito chiedersi se appunto non si stia guardando un bello spettacolo, ma al circo.

Il marketing e la paura

Il marketing dell’IA spinge su un tasto formidabile: la paura dell’umanità di scomparire. Capisco che ad alcuni possa far paura; non a chi “capisce” e “ricorda” che siamo apparsi da pochissimo su questo pianeta, e con ogni probabilità ce ne andremo tra pochissimo.

Ma ammettiamo che ci faccia paura: di cosa dovremmo avere paura? Del fatto che le macchine diventeranno più intelligenti di noi? Io propongo da tempo un punto di vista diverso, e leggendo di recente Luciano Floridi scopro di non essere solo.

Postuliamo che macchine e uomo diventeranno pari, nell’intelligenza, cioè nella capacità di intendere, pensare, giudicare. Si tratta di vedere come e quando si verifichi questo pareggio. Pensiamo alla scala dei decenni, e guardiamo al come, e chiediamoci se questo ci potrebbe insegnare qualcosetta.

  1. L’incontro potrebbe avvenire nel caso in cui l’intelligenza umana rimane quella che è e quella delle macchine aumenta di ordini di grandezza; questo il caso sbandierato come probabile dai venditori del circo, salvo capire come le macchine possano capire, e non far finta di capire.
  2. L’incontro potrebbe avvenire come in a., ma anche e nonostante un incremento dell’intelligenza umana, magari dovuta all’interazione con l’evoluzione della macchina.
  3. L’incontro potrebbe avvenire perché l’intelligenza umana si riduce e/o evolve diventando simile in qualità e quantità a quella delle macchine. L’uomo non “capisce”, non “sente”, non sa attribuire “significato”.

L’ipotesi c.

Io ritengo che l’ipotesi c. sia la più probabile e sia molto probabile. Lo osservo in Occidente e in Oriente, negli esiti di decisioni individuali e in quelle collettive.  Dal “piccolo” - si fa per dire – caso per cui l’educazione sentimentale degli adolescenti passa attraverso la pornografia online, con il tragico strascico di uomini che non capiscono e ammazzano le donne, al “grande”: Onu, Ocse e compagnia cantando sono organizzazioni in via di estinzione, mentre i veri giocatori globali sono le Big Tech. Sono loro, che nolenti o volenti stanno rapidamente assumendo il ruolo di nuovi Imperi, e superata l’industria militare giocano partite importanti di cui ignorano le regole.

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Io vado oltre i filosofi che guardano al turbo capitalismo, l’IA gismo e così via; mi permetto di mettere sul tavolo l’ipotesi che imperi e Darth Vader siano già tra noi. Non possiamo però neppure pensarlo, perché in realtà tutto questo ci ha sedotto, dice Byung Chul Han, e di fatto amiamo molto diventare stupidi. Non è questa la mela del paradiso che stiamo finalmente per cogliere di nuovo?In fondo, stiamo mettendo a repentaglio un diritto che non sapevamo di avere, perché non era mai stato minacciato in questa misura: il diritto all’intelligenza, il diritto a nascere intelligenti e rimanere intelligenti.  

La società ci protegge dall’abuso di fumo e alcol, dal gioco d’azzardo (dipendenza senza sostanza), ma non dall’abuso del digitale.

Il digitale ci stordisce e stupefà come null’altro mai; in quanto stupefacente è molto più pervasivo, e persistente, e additivo di ogni altra cosa mai vista. Provare su un bimbo di pochi mesi per credere.  Vogliamo un digitale “bio”, pulito, equo, giusto.