Lo avevano già fatto quasi mezzo secolo fa, nel 1975, segnando una pietra miliare nella storia dei diritti e dell'uguaglianza. Oggi si sono ripetute. Le donne d’Islanda – che sono in lieve maggioranza nella piccola isola del nord Atlantico: 174 mila su 343 mila abitanti – hanno scioperato contro la mancata parità. Anche la premier Katrin Jakobsdottir e alcune ministre - fra cui quelle della Giustizia e della Cultura - si sono unite alla protesta per l'uguaglianza di genere.
D’altronde Jakobsdottir aveva anticipato la sua adesione in un'intervista venerdì al portale di notizie mbl.is. «Non lavorerò quel giorno, come spero facciano anche tutte le donne qui presenti». Ed è stata di parola. Per una manifestazione riuscita. Secondo quanto riferiscono i giornali locali la partecipazione è stata grande come nel 1975 quando le donne scioperarono per la prima volta per chiedere più diritti. Tutto questo nonostante l'Islanda vanti un primato: è il primo Paese al mondo in materia di uguaglianza di genere, con una riduzione del 90% del 'gap' salariale e sociale negli ultimi tre anni. Ma non basta. Come ha sottolineato la premier nell’intervista:«non sono stati raggiunti gli obiettivi di piena uguaglianza di genere, cosa inaccettabile nel 2023 nonostante siano la priorità del suo governo». Nono solo: Jakosdottir ha denunciato anche un’inversione di tendenza: le differenze di salario fra uomini e donne sono in aumento in tutto il Paese. Una ragione in più per scioperare, replicando "Kvennafrì", ovvero «giorno libero delle donne».
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