Se potessimo entrare nei caveaux di Fort Knox ci troveremmo in mezzo a migliaia di tonnellate di oro massiccio, in buona parte lingotti standard da 400 once, pari a oltre 12 chilogrammi cadauno. Ai prezzi attuali, ciascuno di essi ha un valore di oltre un milione di euro.
Qui sono custodite oltre metà delle riserve auree americane (147 milioni di once, cioè circa 4.600 tonnellate su 8.133), oltre a parte delle riserve di altri paesi, fra cui Regno Unito, Germania (oltre 1.200 tonnellate) e Italia (1.061,5 tonnellate).
L'accesso ai sotterranei della base militare di Fort Knox, in Kentucky, non è ovviamente consentito al pubblico, come specifica il sito della Zecca americana nella pagina dedicata: "No visitors are permitted in the facility". Anzi, le visite esterne ufficiali a queste riserve si contano sulle dita di una mano e Franklin Roosevelt (nel 1943, durante la Seconda guerra mondiale) fu l'unico fra i Presidenti americani a visitarle.
Negli anni sono cresciute le speculazioni in merito alla reale quantità di oro effettivamente presente a Fort Knox e le richieste di politici e banche centrali per rimpatriare parte dell'oro (in ultimo Germania e Regno Unito) hanno contribuito ad alimentare un certo alone di mistero. A questo punto, la domanda parrebbe lecita: tutto questo oro è ancora al suo posto? Sono in molti a chiederselo, anche perché l'ultima ispezione avvenne oltre mezzo secolo fa e si trattò pure di un audit parziale. Per l'ultima ispezione completa dobbiamo andare ancora più indietro nel tempo, al 1953.
A rilanciare il dibattito ci ha pensato Donald Trump, che nelle scorse settimane ha annunciato l'intenzione di lanciare un'ispezione completa dei caveaux: "Andremo a Fort Knox a verificare se l'oro americano, il leggendario oro, è ancora al suo posto".
Probabilmente una mossa che il Tycoon vede come un'opportunità di rilancio politico, con modesti rischi per la sua immagine. Vediamo le ipotesi: nel caso in cui tutto l'oro fosse effettivamente al suo posto, Trump guadagnerebbe fiducia e sarebbe il primo presidente ad aver richiesto un'ispezione completa dopo oltre mezzo secolo. Se così non fosse, invece, con tutta probabilità, la colpa ricadrebbe sui suoi predecessori e sulle passate amministrazioni. Inoltre, nell'epoca dei social media e della digitalizzazione dell'informazione, Trump (con il supporto di Musk) potrebbe trasformare l'evento in un grande show di massa.
Va però ricordato che l'ispezione non è cosa da poche ore, ma verosimilmente durerebbe oltre un anno, impiegando decine di persone. Sono infatti centinaia di migliaia i lingotti da analizzare, oltre a barre e monete ed il compito di verificare peso, dimensioni ed effettivo contenuto richiederebbe parecchio tempo.
È decisamente interessante il valore contabile assegnato all'oro americano: 42,22 dollari per oncia. Si tratta chiaramente di un valore "antico", risalente agli anni Settanta, poco dopo rispetto a quando Nixon sganciò l'oro dalla celebre quota 35 dollari per oncia.
Di fatto, quindi le 4.600 tonnellate di oro americano detenute a Fort Knox valgono circa 80 volte in più rispetto ai 6-7 miliardi messi a bilancio, con una quotazione aurea che è arrivata in area 3.300 dollari per oncia, superando i 100 dollari al grammo. Ed il discorso è ovviamente valido anche per le restanti 4000 tonnellate di oro americano, con un valore di libro mastro di 10,5 miliardi, a fronte di uno reale complessivo di oltre 800 miliardi di dollari.
Le quote delle riserve auree degli Stati Uniti

Scott Bessent, segretario di Stato per il Tesoro, in un'intervista a Bloomberg ha smontato il caso Fort Knox, spiegando che avvengono controlli su base annuale e sostenendo che le riserve sono sicuramente al loro posto. Per quanto riguarda il tema della contabilizzazione, ha anche detto che non intende aggiornare il valore di bilancio di quest'oro, nonostante la notevole salita del prezzo.
Cambiamo ora prospettiva. Quali potrebbero essere le implicazioni per i mercati finanziari dell'ispezione a Fort Knox? Ça va sans dire, l'oro sarebbe l'asset più interessato.
L'oro americano custodito nelle segrete di questa base militare rappresenta oltre il 2% di tutto il metallo prezioso estratto nell'intera storia dell'umanità. Se aggiungiamo la quota italiana e tedesca siamo intorno alle 7.000 tonnellate, pari a circa il 3,5%. Un valore che sale ulteriormente contando l'oro di altre banche custodito sempre qui.
È chiaro che i mercati accoglierebbero positivamente un'eventuale conferma che i quantitativi di oro sono effettivamente corrispondenti con quelli dichiarati. In questo caso potremmo attenderci un rafforzamento del dollaro e una leggera discesa dei rendimenti americani, nell'occhio del ciclone in queste ultime settimane dopo i vari dietrofront di Trump sui dazi.
Scenario ben diverso, invece, nel caso opposto, ossia se la Fed lo avesse utilizzato all'insaputa dei mercati (magari durante la crisi dei mutui subprime?) e l'oro custodito a Fort Knox fosse significativamente meno di quello dichiarato. Chiaramente il danno sarebbe crescente all'aumentare della quantità mancante di metallo giallo.
Anche in questo caso l'oro sarebbe coinvolto, con un probabile aumento delle quotazioni, mentre il dollaro ed il mercato dei bond statunitensi potrebbero essere coinvolti da una certa perdita di fiducia. Chiaramente si tratta di scenari ipotetici, un po' come quelle voci cospirazioniste che si sono rincorse man mano che crescevano gli anni trascorsi dall'ultima ispezione delle segrete di Fort Knox.

Ma spostiamoci ora sul tesoretto italiano, pari a ben 2.452 tonnellate di oro. Il sito della Banca d'Italia racconta – per gli amanti delle statistiche – che 4 tonnellate sono sotto forma di monete (871.713 pezzi fra sterline, Krugerrand, marenghi d'oro e tante altre coniature), mentre le restanti sono in lingotti di vario taglio. La maggior parte ha forma prismatica, ma non mancano quelli a forma di parallelepipedo o mattone, così come i panetti inglesi, con pesi che variano fra i 4,2 ed i 19,7 kg.
Poco meno di metà dell'oro italiano (1.100 tonnellate, il 45% del totale) è custodito nella cosiddetta sagrestia di Via Nazionale, presso Palazzo Koch, sede della Banca d'Italia. Una quota simile (1.061,5 tonnellate) è collocata a Fort Knox, negli USA. Quote intorno al 6% per la Svizzera ed il Regno Unito (149 e 141 tonnellate).
Le ragioni della dislocazione dell'oro italiano in più banche centrali sono storiche (probabilmente i timori di invasioni sovietiche durante la Guerra Fredda ed una scarsa fiducia degli altri paesi nell'Italia), nonché in parte legate ai luoghi in cui l'oro è stato acquistato, con l'obiettivo di una diversificazione del rischio paese.
Complessivamente l'Italia, con le sue 2.452 tonnellate di oro, è il terzo paese al mondo per detenzione di oro, alle spalle di Stati Uniti e Germania (escludendo il Fondo Monetario Internazionale). E con le quotazioni dell'oro ampiamente sopra i 3.000 dollari per oncia sale anche il valore teorico di mercato (prezzo spot) delle riserve italiane, ormai arrivate a superare i 220 miliardi di euro.
© Riproduzione riservata