"La Groenlandia è molto importante per la pace nel mondo, per questo gli americani devono prenderne il controllo. Non stiamo parlando di pace per gli Stati Uniti, stiamo parlando di pace nel mondo." Queste le parole di Donald Trump nelle scorse settimane, che hanno ribadito le discutibili mire espansionistiche degli Stati Uniti sulla Groenlandia. Ma come mai tutto questo interesse per la terra meno popolata del pianeta, abitata da nemmeno 60.000 persone, circa 0,03 per km/quadrato? La risposta è legata alle terre rare.
I nomi, almeno ai non esperti, direbbero poco. Parliamo infatti di Scandio, Ittrio, Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Promezio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio, Lutezio. La loro scarsa notorietà nasconde però una valenza chiave nella tecnologia moderna.
Si tratta di una serie di diciassette elementi appartenenti al gruppo dei Lantanidi, fondamentali nei processi ad alta tecnologia grazie alla loro caratteristica di mantenere la capacità magnetica pressoché inalterata al variare della temperatura. In sintesi, possono essere utilizzati anche in fase di surriscaldamento.
La loro importanza riguarda numerosi processi ad alta tecnologia: la riduzione delle dimensioni degli smartphone, così come degli auricolari, è possibile grazie all'impiego di più leghe del neodimio, mentre nelle pale eoliche moderne sono tradizionalmente utilizzate centinaia di chilogrammi di varie terre rare (per ciascuna struttura). Questi elementi sono presenti anche nei televisori LCD, così come nelle fibre ottiche, giusto per fare alcuni esempi. In altre parole, temi chiave per l'economia green e la transizione energetica, senza poi dimenticare anche il crescente impiego per il settore della difesa.
Anche se il nome sottintende l'opposto, le terre rare sono relativamente diffuse. È però complesso e dispendioso il processo di lavorazione, che richiede (come capita anche per vari metalli preziosi) l'utilizzo di sostanze nocive per l'ambiente e per chi ne viene a contatto. Per ogni tonnellata di terre rare prodotte si stima che vengano prodotti scarti per circa 20.000 tonnellate, in parte radioattive.
Ci sono quindi notevoli fattori di rischio, che la Cina – primo produttore al mondo per distacco - ha spesso ignorato (o quanto meno messo in secondo piano) a favore della crescita economica. Attenzione, però, a semplificare. Ne "Le mappe del Tesoro" (Hoepli Editore), Paolo Gila e Maurizio Mazziero hanno spiegato come la leadership cinese non sia soltanto frutto di una certa "disinvoltura nell'estrazione" e nei processi annessi, ma anche di trent'anni di incentivi statali al settore, che sono arrivati a coprire fino al 40% delle spese sostenute dalle aziende specializzate.
Normative che gli altri paesi non hanno invece applicato, permettendo alla Cina di ampliare un divario già notevole. Il Dragone è favorito dalla presenza delle enormi miniere di Bayan Obo, in Mongolia, che coprono circa un terzo delle riserve mondiali con oltre 100 milioni di tonnellate, numeri in grado di fornire un vantaggio di lungo termine al paese, considerando i dati attuali su produzione e consumo, spiegano ancora Gila e Mazziero.
Inoltre già in passato, durante la prima presidenza Trump e nei confronti del Giappone, la Cina ha usato le terre rare come una sorta di "arma di ricatto", provocando controversie commerciali internazionali, in seguito alla decisione di ridurre le proprie quote di esportazione.
Nel 2024 la produzione complessiva di terre rare è stata di circa 400.000 tonnellate, di cui quasi il 70% in arrivo dalla Cina, che ha estratto circa 270.000 tonnellate, seguita – ad ampissima distanza – dagli USA, con 45.000 tonnellate, appena un sesto rispetto alla Cina. Terza posizione in questa speciale classifica per il Myanmar, con 31.000 tonnellate, seguito da 13.000 tonnellate da Australia, Nigeria, Thailandia, India e Russia. Marginale la quota degli altri paesi, tutti sotto le 3000 tonnellate (e quindi sotto l'1%).
Da notare come la quota totale statunitense sia salita di circa 10 volte in appena due anni: da 4.000 tonnellate a 45.000 fra il 2022 ed il 2024. Per quanto riguarda l'Ucraina, le Nazioni Unite stimano riserve vicine al 5% di quelle globali, ma diversi analisti sostengono che i dati siano obsoleti o imprecisi e che la reale consistenza dei giacimenti sia tutta da accertare (se non addirittura trascurabile). Nel mentre il tanto pubblicizzato accordo per lo sfruttamento con Trump non è ancora stato formalizzato: le notizie più recenti riferiscono dell'intenzione di Zelensky di rinegoziarlo con conseguenti nuovi malumori del magnate americano.
Ma torniamo alla Groenlandia, la terra dei desideri di Trump. Secondo vari studi le riserve della Groenlandia potrebbero avvicinarsi a quelle cinesi. I numeri reali della ricchezza nascosta sotto il permafrost sono sì da confermare, ma parrebbero senz'altro notevoli. Si stima infatti che potrebbero coprire una percentuale fra il 15 ed il 25% della domanda mondiale dei prossimi anni. Ecco, quindi, che questa fredda terra assume un'importanza strategica nelle questioni geopolitiche globali.
Al di là della sfida fra superpotenze, i piccoli investitori possono sfruttare questo macrotrend? Al momento non pare facile trovare strumenti che permettano di puntare su questi 17 materiali.
Ci ha provato un ETF di Van Eck, con risultati disastrosi. Il fondo passivo "Rare Earth and Strategic Metals" negli ultimi 3 anni ha infatti perso oltre il 50% del suo valore, complice anche l'andamento negativo di vari titoli asiatici.
Questo ETF – unicamente long e senza copertura valutaria – ha una capitalizzazione che supera i 90 milioni di dollari. Copre una serie di titoli del settore metalli rari ed ha come target quello di replicare l'indice MVIS Global Rare Earth/Strategic Metals. Al momento il fondo si concentra su aziende cinesi (27%), statunitensi (16%), australiane (14%) e canadesi (7%). Complessivamente sono 23 le aziende seguite. E proprio la scelta dell'azione giusta – cosa tutt'altro che semplice – potrebbe essere la ricetta vincente per l'investitore, che non deve dimenticare il rischio cambio.
I titoli che hanno attualmente il maggior peso nell'indice sono (in ordine decrescente): Arcadium Lithium (8,80%), Albemarle Corp (7,28%), Sociedad Quimica y Minera de Chile SA (6,96%), China Northern Rare Earth (6,52%), Lynas Rare Earth (5,91%), Pilbara Minerals (5,15%). Nella lista compaiono, con percentuali più basse, anche aziende operative nel settore litio, come Ganfeng Lithium Group Co..
Andamento dell'indice MVIS Global Rare Earth/Strategic Metals nell'ultimo anno
Numeri migliori – anche se lo storico è di appena un anno – per l'ETF di WisdomTree "Energy Transition Metals and Rare Earths Miners". La capitalizzazione di mercato è di soli tre milioni, esponendo l'investitore a maggiori rischi di liquidità. Anche in questo caso il fondo è denominato in dollari. Le società seguite sono ben 65, con una partecipazione massima del 4%. Fra i titoli troviamo colossi come Anglo American, ma anche aziende con capitalizzazione di mercato più modesta. La diversificazione è decisamente maggiore, anche in termini di paesi (con la Cina sempre in vetta, con il 24%, seguita dagli USA, con circa l'8%).
Fra gli ETF su questi temi troviamo poi – sempre con denominazione in dollari - "Global X Disruptive Materials". Anche in questo caso la capitalizzazione di mercato è relativamente ridotta, pari a circa 5 milioni di dollari. Il fondo ha due anni e mezzo di vita e dalla nascita ha perso circa il 24% del suo valore.
Il tema delle terre rare è quindi decisamente attuale sia dal punto di vista economico che geopolitico. Per l'investitore, però, non è facile sfruttare il trend, anzi, i numeri dicono l'opposto.
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