Il titolo di questo pezzo viene da una frase diventata famosa (“è l’economia, stupido”), che nel 1992 fu uno dei mantra e infine uno slogan vincente nella campagna elettorale del Presidente Usa Bill Clinton, insieme a “change versus more of the same” (cambiare, non sempre la stessa zuppa) e “don’t forget health care” (non dimenticarti della sanità).

Sono passati più di trent’anni, e in cima alle preoccupazioni degli elettori di mezzo mondo che voteranno nel 2024 – in particolare degli europei – ci sono ancora le preoccupazioni economiche, quelle relative all’assistenza sanitaria e, quasi sempre, la voglia di cambiamento.

Le proporzioni del cocktail, tuttavia, sono cambiate, e lo shaker è, a seconda dei casi, o ciò che viene etichettato sbrigativamente come populismo (a  ben guardare, una difesa identitaria di posizioni – economiche, sociali, culturali – che vengono dalla tradizione e sono minacciate dai tempi nuovi), o anche la politica identitaria (e per ora minoritaria, ma molto vocale) adottata da un pezzo della sinistra, soprattutto americana, che porta a leggere tutti i conflitti in chiave di oppresso e oppressore, e propone per conseguenza, tipicamente, soluzioni a somma zero (ristabilire la giustizia significa espropriare l’oppressore a favore dell’oppresso, a prescindere dalla fattibilità della cosa nonché dalla sensatezza della classificazione iniziale).

  • In Argentina, per esempio, è un mix di economia in crisi profonda e voglia di cambiamento dopo vent’anni di peronismo ad aver prodotto qualche settimana fa la vittoria del Presidente Javier Milei, professore di economia diventato personaggio televisivo, sostenitore – almeno in campagna elettorale – di tesi estreme, e che rappresenta, anche per i suoi concittadini, un’incognita pressoché assoluta.
  • È certamente la voglia di cambiamento, per fare un esempio in certo senso opposto, ad aver spinto due mesi fa gli elettori polacchi a mandare a casa il partito di destra Diritto e Giustizia, al governo con qualche interruzione per oltre dieci anni, anche se in questo caso a sostituirlo è stato il partito popolare del centrista (e tutt’altro che nuovo, era già stato Presidente del consiglio dal 2007 al 2014) Donald Tusk.

Lo shakeraggio produce risultati a volte sorprendenti, soprattutto se si guarda ai temi economici. Accade spesso che, nei sondaggi, si rilevi uno scarto fra percezione di un determinato fenomeno a livello collettivo e incidenza dello stesso fenomeno a livello personale (ne abbiamo parlato a proposito dell’immigrazione). In materia economica, non è raro che coloro i quali affermano che “l’economia va male” siano ben più numerosi di quelli che dichiarano che “le finanze di famiglia vanno male”. C’è un limite tuttavia, e solitamente le due percezioni sono collegate fra loro, nonché alla realtà dei fatti: sicché, quando l’economia va bene o migliora, diminuiscono quelli che vedono il bicchiere vuoto o mezzo vuoto, sia a livello collettivo che della propria situazione personale.

Negli Stati Uniti, però, da un po’ di anni non è più così. Nella figura seguente, relativa a Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito, sono messi a confronto l’andamento atteso dell’indice di fiducia dei consumatori (la linea azzurra) sulla base dei numeri dell’economia reale, e la fiducia effettivamente rilevata nei sondaggi (la linea rossa). Come si vede, in tutti e quattro i paesi le due linee praticamente si sovrappongono dal 2000 al 2010, poi in tre paesi su quattro (l’eccezione è Francia) tendono ad allontanarsi, e negli Stati Uniti in particolare si apre un divario molto evidente.

Negli Stati Uniti, si è aperto un ampio e persistente divario fra andamento effettivo e percezione dichiarata della situazione economica

(indice di fiducia dei consumatori, livello rilevato e livello atteso sulla base degli indicatori economici; fonte Financial Times, 1° dicembre 2023)

Che cosa spiega questo fenomeno? Lo vediamo nella figura successiva, che mostra come a partire dal 2008, ossia dall’elezione di Barack Obama, il livello di fiducia dei consumatori appaia dominato dall’appartenenza partitica: in altre parole, quando è al governo un Presidente democratico i consumatori repubblicani (la linea rossa) diventano molto più pessimisti, e quando è al governo un Presidente repubblicano sono i consumatori democratici (la linea azzurra) a vedere nero.

L’indice di fiducia dei consumatori misura davvero quello che crediamo misuri? Negli ultimi anni, si sono aperti enormi divari sulla base dell’identificazione partitica

(indice di fiducia complessivo e risposte alle domande: “è un buon momento per fare acquisti importanti”?, “nei prossimi dodici mesi, come andrà l’economia?”, “nei prossimi dodici mesi, come andranno le finanze familiari?”; fonte Financial Times, 1° dicembre 2023)

Uno potrebbe anche essere tentato di dire: «Sono gli americani, stupido!». Ma non è proprio così.

  • A ben guardare, in Germania il divario si apre più o meno in coincidenza con la formazione del governo “semaforo” (rosso, giallo e verde: socialisti, liberali e verdi) guidato da Olaf Scholz.
  • Nel Regno Unito, gli scostamenti più evidenti sono chiaramente riconducibili alle diverse fasi di Brexit e del tumulto politico che ne è seguito.
  • Anche in Italia le cose non sono tanto diverse: lo fa vedere un sondaggio realizzato da Euromedia Research di Alessandra Ghisleri per La Stampa, pubblicato l’11 dicembre scorso, da cui risulta che gli elettori dei partiti di governo (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia) sono in larga maggioranza ottimisti sull’anno che verrà, esattamente all’opposto di quelli del PD e del Movimento 5Stelle, nonché, in particolare degli astenuti/indecisi. Il valore medio (45,9 di pessimisti sul totale del campione) è proprio, come si dice, una media del pollo.
  • Quanto alla Francia, è in questo momento il paese più scontento d’Europa, e in più l’economia non va affatto bene: dunque, per una volta, i conti sembrerebbero tornare.

Fonte: La Stampa

Queste divergenze fra percezione e realtà sono tanto più sorprendenti in quanto in paesi democratici – come sono i cinque che abbiamo visto – il governo, alla fine, ha limitate capacità di fare grandi danni immediati nella vita dei singoli cittadini: in altre parole, a differenza di quanto avviene nelle dittature, non può spogliarli dei loro beni o privarli della libertà o in qualsiasi altro modo colpirli direttamente in ragione della loro appartenenza partitica. Ma questo, a quanto pare, non rassicura.

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È vero che gli ultimi quattro anni sono stati duri, anche dal punto di vista psicologico e in particolare in Europa: gli europei hanno visto in successione una pandemia (non la vedevano da cent’anni), la guerra sul continente (non la vedevano da più di settant’anni), una inflazione sostenuta (non la vedevano da trent’anni). La reazione all’inflazione, in particolare, ha componenti reali (l’aumento del costo della vita pesa su budget limitati: in Italia, il 41 per cento degli intervistati dichiarava quest’autunno di avere avuto nei dodici mesi precedenti qualche difficoltà a pagare i conti a fine mese) e componenti psicologiche e di comprensione del fenomeno, analizzate compiutamente nella Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2023 appena pubblicata dal Centro Einaudi.

Questo non basta, tuttavia, a spiegare gli andamenti che abbiamo visto, sui quali incide, con tutta evidenza, una crescente polarizzazione delle opinioni e dei comportamenti. È un problema in più che i politici devono affrontare al momento delle elezioni, ma è anche un problema di cui dovremmo farci carico tutti: contribuendo a disintossicare l’atmosfera – un po’ come con le emissioni di anidride carbonica – invece di contribuire ad avvelenarla.