Il proprietario di una piccola banca privata dice ai suoi due figli: “Un giorno comincerò a mostrare segni di senilità e il mio giudizio non sarà più lucido. Quando avverrà, dovrete dirmi in tutta franchezza che è ora di cedere il comando”. Nel frattempo lavorano insieme. Passano gli anni. Ogni tanto i figli propongono soluzioni di differente gestione del business e di maggiore delega a loro delle responsabilità di vertice. Ma il padre risponde ogni volta: “Troppo presto”. Alla fine, i due figli, rispettosi come sempre, vanno dal padre e gli dicono quello che lui stesso gli aveva raccomandato di dire: “Noi siamo qui. Per te è il momento di dare a noi il comando dell’azienda”. Il vecchio, alzando gli occhi da una montagna di documenti sulla vecchia scrivania, con un sorriso ebete esclama: “Troppo tardi”!
Il vero dilemma
Allora: tenere il potere a oltranza o cedere il testimone? Quando? Come? A chi? Questo è il dilemma, per i leader senior. Vale per i fondatori delle Pmi. Per i capi di un partito. Per i soci degli studi professionali. Per i vertici delle multinazionali… Che dose di comando dovremmo cedere di volta in volta? Dovremmo lasciare regolarmente, a orari fissi, a piccole dosi diluite? O massicciamente, tutto in una volta, come un purgante? La scelta del momento è cruciale. Troppo presto? Prima di essere pronto a farlo con tutto te stesso? Per il banchiere svizzero, troppo tardi. Non solo mantiene il comando quando è già fuori di testa, ma non si pone la domanda vitale: chi dirigerà la banca dopo di me? Questo voler restare in sella a oltranza dipende dalla “volontà di potenza” come la definisce Nietzsche o dal principio di Hobbes: «L’autoconservazione è la prima legge della natura»?
I vecchi non mollano facilmente
Ai giovani si insegna l’importanza di far valere i propri diritti: «Realizza i tuoi scopi», «Conquista il successo». Ai vecchi si raccomanda di impostare, da vivi, la successione dei beni nell’impresa e in famiglia. Difficile. Perché da anziani siamo saldamente attaccati alla vecchia auto, alla solita scrivania in ufficio, all’azienda, alla nostra immagine di leader? Quella presa che non vuole mollare, che compare in molti di noi in età avanzata, come la gestiamo? Il primo passo è diventarne coscienti.
La società ti chiede una funzione
Gli antropologi osservano che in alcune culture primitive, finché il padre non è morto i figli non assumono un ruolo. Tra i pastori della Somalia, anche quando i figli ricevono dal padre terra e bestiame sufficienti a diventare capifamiglia autonomi, finché il padre rimane in vita, non assumono tale funzione. E’ antagonismo “fra archetipi” la lotta padre-figlio.
Le donne acquistano più potere diventando anziane. Non soltanto dirigono il lavoro delle donne giovani, ma acquistano più ascendente nella vita del villaggio. In Melanesia, ad esempio, le donne anziane sono messe a parte dei segreti culturali e sociali degli uomini, tenuti invece rigorosamente nascosti alle donne più giovani.
Nelle società «primitive» diventa vecchio chi non adempie più ad una funzione nella comunità. E’ una definizione sociale, più che fisiologica. Quando una donna non è più in grado di mungere la capra, accudire il fuoco o intrecciare canestri, allora è vecchia. Il fatto di essere ciechi o deboli può contribuire all’attribuzione di vecchiaia, ma la fisiologia da sola non basta a definirla. Perché quella medesima donna, cieca e debole, potrebbe sempre svolgere la sua funzione di erborista guaritrice o di narratrice di storie. Oppure potrebbe essere depositaria di «poteri sciamanici». Rimane così funzionale per la società con la sua mera presenza.
Detestiamo invecchiare. Non riusciamo a immaginare la bellezza della vecchiaia, perché la guardiamo soltanto con gli occhi della fisiologia. E detestiamo i vecchi perché ne sono l’incarnazione. Il mondo di oggi, veloce e ipertecnologico sminuisce il valore dei vecchi. Il disprezzo per i valori generalmente associati alla vecchiaia, come l’ingegnosità, il fare a mano, la conoscenza delle tradizioni o la pura e semplice lentezza, diminuisce il valore della persona anziana. Senza l’idea di carattere, i vecchi sono soltanto persone con qualcosa in meno e in peggio. La loro longevità è un fardello per la società. Nella nostra testa e nel senso sociale i vecchi lo sono molto prima di esserlo fisicamente.
Il peso dell'ambizione nei vecchi
Alimentiamo così in pari tempo il loro attaccamento viscerale alla posizione di prestigio acquisita. L’ambizione può essere uno dei vizi che raramente l’avanzare dell’età attenua, ma che anzi rafforza. Il professore vuole pubblicare la summa definitiva di tutto il sapere. L’architetto costruire la sua opera monumentale. Il presidente di una società realizzare la più importante fusione. Sfruttare al massimo gli ultimi anni per realizzare un progetto che duri oltre la loro vita. A volte, è ambizione e basta, senza alcuno scopo al di fuori della propria persona.
«Aveva un’ambizione senile per tutto», disse del maresciallo Pétain, capo del governo collaborazionista francese durante l’occupazione nazista, il generale De Gaulle, che di ambizione se ne intendeva. E Simone de Beauvoir scrisse: “Era meschino, maligno, egoista, vacuo, indifferente, prepotente, ambiguo, caparbio, pretenzioso, pruriginoso”. Nessuno di questi tratti appartiene alla sua vecchiaia in quanto tale. Tutti appartengono al suo carattere.
Anche Cicerone, nel suo De senectute, sostiene: «I vecchi sono bisbetici, pieni di preoccupazioni, irascibili, difficili. Anche avari. Questi però sono difetti del carattere, non della vecchiaia». Quando si credeva negli dèi, era Saturno a provocarli, il dio dell’avarizia e della depressione.
Molti uomini di successo, per le donne questo vale meno, lamentano, da vecchi, che la loro importanza non è stata sufficientemente riconosciuta.
L’ambizione sempre accesa, il vecchio leader continua a voler dirigere lo spettacolo, influenzare un successore, decidere della suddivisione del patrimonio familiare, sconfiggere un ultimo rivale, non importa chi. Non riesce a rinunciare del tutto al trono, né all’impulso che glielo ha fatto conquistare. La vita si allunga, con notti e giornate interminabili, ma non significa che il nostro carattere ne tragga beneficio. Se non siamo intenzionati a coltivarlo e dargli una direzione. Mentre le nostre aspettative statistiche di vita migliorano, la nostra anima rischia il declino, sommersa da ecografie, diete e vaccini. La longevità accentua il carattere.
Cosa può estendere la nostra vita?
L’interesse autentico per la vita altrui. Non si tratta di attività di volontariato. Ma dell’arte di ascoltare, di investire energia, tempo e denaro per dare Valore agli altri. Nelle Pmi, può voler dire allenare realmente al “dopo di noi” persone di famiglia o manager esterni che porteranno avanti la forza della nostra visione iniziale. Se questo sarà. Spostare il focus da sé alle altre persone significa trarre linfa vitale, che porta calore e vitalità nella nostra anima. Energia positiva, che allenta le preoccupazioni private, personali. Libera il carattere da quell’avido bulletto che è il nostro «ego». Espande la vita oltre i suoi confini fisici. Più riusciamo a tenderci verso ciò che è dopo di noi, verso l’altro da noi, più la nostra vita si estende. La vecchiaia si libera della stretta morsa del tempo.
Da vecchio sei lo stesso di prima, solo molto di più. (James Hilmann)
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