Se si mettono a confronto due indici azionari, quello delle maggiori imprese statunitensi (il Dow Jones) e quello delle maggiori imprese dell'euro zona (lo Stoxx-50), si vede che, dall'inizio della crisi del 2007, il primo è all'incirca dove si trovava, mentre il secondo è flesso del 40% (1). Le variazioni sono simili: alle flessioni e alle ascese dell'uno corrispondono le flessioni e le ascese dell'altro. È invece la tendenza a essere diversa. Il distacco dei due indici si ha nel 2010, quando quello statunitense sale più di quello europeo, e nella seconda metà del 2011, quando quello europeo, a differenza di quello statunitense, flette sotto il peso dei debiti pubblici in crisi.

Abbiamo a che fare con due insiemi di imprese particolarmente differenti? Nel primo caso di alta qualità, nel secondo di qualità inferiore? No, la qualità è circa la stessa.

Abbiamo a che fare con una qualche preferenza nazionale degli investitori? Nemmeno: gli investimenti sono fatti dove conviene.

Allora, come possiamo spiegare l'andamento diverso?

Quando si è avuta la crisi del 2008 - una crisi statunitense - entrambi gli indici sono caduti; quando si è avuta la crisi del 2011 - una crisi europea - è caduto l'indice europeo, ma non quello statunitense.

Si potrebbe allora affermare che le crisi statunitensi sono giudicate dai mercati come sistemiche, mentre quelle europee sono considerate circoscritte. E questo nonostante l'economia degli Stati Uniti e dell'euro-area siamo simili come dimensione. Si noti, infine, che l'andamento del maggiore indice britannico (il FTSE-100) è simile a quello del maggior indice degli Stati Uniti (2).

Dunque abbiamo le borse “anglosassoni” e quelle “continentali”, oppure, per usare le immagini della geopolitica, le borse “balena” e quelle “orso”.

L'unica spiegazione che riesco a trovare per questi andamenti così diversi è nell'attivismo politico. Contrariamente a quello che si crede, nei paesi balena si hanno politiche monetarie e fiscali molto attive volte a sostenere il buon andamento dei mercati finanziari anche nel periodo breve. Abbiamo, insomma, l'interventismo pubblico in finanza.

Nei paesi orso, invece, le politiche fiscali e monetarie sono volte essenzialmente all'equilibrio di lungo termine, che dovrebbe essere scontato dai mercati, senza interventi puntuali. Ossia, si ha un minor interventismo.


Perciò, nel periodo breve, se si ha una crisi negli Stati Uniti, si assume che l'Europa non avrà una politica economica attiva, mentre se si ha una crisi in Europa, gli Stati Uniti comunque reagiranno. Si ha, in conclusione, la conferm dell'assimetria osservata: la crisi statunitense è per tutti, quella europea è circoscritta.

Ma attenzione: non si guadagna necessarimente di più a fare la balena. Se, infatti, si prende il titolo di stato tedesco a lungo termine su un arco temporale di decenni e lo si trasforma in dollari, e poi si confronta il suo andamento con quello della borsa statunitense, alla fine il Bund ha reso di più (sic!). Ossia, una politica volta al controllo nei decenni della spesa pubblica, alla bassa inflazione, e alla moneta forte ha, alla fine, generato un'attività finanziaria più attraente.

Come che sia, seguendo le vicende correnti si osserva bene la differenza fra le balene e gli orsi (3). Nell'Europa dell'euro è ormai prevalsa una politica fiscale che possiamo definire della “contrazione espansiva”. Ossia, i deficit pubblici sono ridotti fino ad annullarli (= bilancio in pareggio). Da una parte la domanda aggregata cade per effetto della contrazione fiscale, dall'altra (e questa è l'aspettativa) la domanda aggregata cresce, perché torna la fiducia nella tenuta del sistema. Sistema che sarebbe potuto deragliare per effetto della crisi dei debiti pubblici, che avrebbe messo in difficoltà le banche (in quanto ne sono detentrici di una quota cospicua) e quindi il credito alle imprese.

È il contrario di quello che è stato fatto negli Usa. Le imposte furono ridotte da Bush e da Obama e gli aiuti alle famiglie accresciuti (attraverso gli incentivi per ridurre il peso dei mutui ipotecari e gli aiuti diretti volti a garantire una base all'alimentazione, i food stamps) per evitare che ci fosse una caduta della domanda tale da far avvitare il sistema. Il deficit pubblico statunitense per effetto delle maggiori uscite e minori entrate è quasi raddoppiato. Il fattore scatenante l'azione intrapresa è stata la caduta della ricchezza delle famiglie, dovuta essenzialmente alla gran caduta del valore degli immobili. Una caduta di quelle proporzioni avrebbe potuto deprimere i consumi in maniera incontrollata (4).


E qui arriva il bello. La decisione europea di annullare la generazione di debito mette un cappio alle opzioni politiche. In futuro - per una spinta demografica che non può essere arrestata - le spese per sanità e pensioni cresceranno. In assenza di deficit pubblico, o le succitate spese sono messe sotto controllo, o si alzano le imposte. Siccome si ha un limite all'innalzamento delle imposte perché sono già alte, ecco che le spese saranno frenate. Con le decisioni prese ultimamente nel breve termine probabilmente avremo una contrazione (a meno che torni la fiducia), ma nel più lungo termine avremo un debito pubblico sotto controllo.

Opposto è il caso statunitense. Nel lungo termine avranno - anche loro per la dinamica demografica - un bilancio pubblico fuori controllo, ma nel breve hanno una maggior domanda (anche in presenza di modesta fiducia). Ossia, gli statunitensi dovranno agire domani per controllare la dinamica del debito pubblico.

Quale tra le due opzioni è la migliore? Il lungo termine che è inghiottito nel breve (caso Europa), oppure la politica dei due tempi (prima cresco e poi mi risano)?

Si possono sostenere entrambe le tesi con buoni argomenti. Per non farla lunga, possiamo dire che l'opzione europea assume che i mercati finanziari siano lungimiranti – ossia che ragionino sui decenni – mentre quella statunitense e inglese assume che siano miopi – ossia che siano interessati soprattutto al breve termine.

Infine, c'è un punto politico. La presenza di elettorati diversi nel caso dell'Europa è stato oggi la discriminante della decisione se seguire il modello della balena o quello dell'orso. I debiti pubblici in crescita metterebbero in difficoltà la Germania, se essa fosse la garante dei debiti pubblici dei paesi terzi lasciati correre nel breve termine. Ossia, le politiche espansive nei paesi in crisi farebbero crescere il loro debito, che sarebbe rifiutato dai mercati avversi al rischio. Per evitare una crisi del debito pubblico europeo e quindi dell'euro, la Germania dovrebbe garantire il debito altrui.

Un'opzione difficile da vendere al suo elettorato.

Nota dottrinale: non è detto che l'espansione dei bilanci pubblici necessariamente peggiori le cose, ma nessuno in campo politico è disposto a scommettere che sia così. E dunque che sia vero o meno in punto di teoria non rileva (5).

(1) http://it.finance.yahoo.com/q/bc?s=%5ESTOXX50E&t=5y&l=on&z=l&q=l&c=%5EDJI

(2) http://it.finance.yahoo.com/q/bc?s=%5EFTSE&t=5y&l=on&z=l&q=l&c=%5EDJI

(3) http://www.centroeinaudi.it/articoli/commenti-economiacentroeinaudiit-98/1361-la-scelta-europea-e-quella-statunitense.html

(4) Christina D. Romer, What do we know about the effects of fiscal policy? Separating evidence from ideology, Hamilton College, November 7, 2011.

(5) http://www.centroeinaudi.it/articoli/commenti-economiacentroeinaudiit-98/1378-monti-fra-keynes-e-i-liberisti.html