1. Nelle scorse settimane Mitt Romney è incorso in tre passi falsi che potrebbero costargli la partita. Il primo passo falso è stato quello di attaccare Obama intempestivamente sulla politica estera proprio mentre la situazione era in rapida evoluzione. Il secondo è stato quello di farsi cogliere nell’atto di spararle grosse a porte chiuse dinanzi ad una platea di ricchi donors repubblicani. Il terzo è stato quello di smentire subito quanto udito da tutti in un fuorionda dell’evento, come se nessuno avesse sentito nulla.

2. Partiamo dal primo passo falso. Volendo colpire la politica estera di Obama, Romney ha accusato il presidente di non aver stigmatizzato in tempo una nota diffusa dall’ambasciata del Cairo in cui si condannavano coloro che non rispettano la religione altrui. Ovvero, la libertà di parola sancita dal primo emendamento copre anche chi denigra la religione. Anche chi realizza film che prendono in giro il profeta Maometto è dunque coperto dal primo emendamento e va protetto. La dichiarazione di Romney è parsa quantomeno intempestiva alla luce dei fatti immediatamente seguiti. L’uscita del film in questione ha incendiato l’opinione pubblica dei paesi arabi portando alle violenze di Bengasi e di altre piazze nordafricane. La difesa di un principio costituzionale è dunque apparsa un tantino capziosa alla luce dei danni prodotti da un film di quart’ordine. Forse il principio di precauzione preso dall’Amministrazione non era poi fuori luogo viste le conseguenze.

Il passo falso di Romney ha permesso a Obama di lanciargli contro una di quelle frasi al vetriolo che infliggono più danni delle bombe incendiarie. «My opponent shoots first to aim later», il mio oppositore prima spara e poi prende la mira. «And this is something you can’t do as president», e questo non è concesso a chi è presidente.

3. Il secondo passo falso Romney l’ha compiuto parlando dinanzi un gruppo di potenziali finanziatori repubblicani. Non sapendo di essere ripreso in un fuorionda, Romney si è lasciato andare all’iperbole tipica di chi, nel mondo degli affari, deve vendere un prodotto a qualsiasi prezzo, anche a costo di esagerare un tantino. Nel fuorionda si sente Romney dire che visto come il 47% dell’elettorato americano non voterebbe mai repubblicano perché vive dei sussidi che solo i democratici possono concedere, la sua strategia è di ignorare questa base pregiudizialmente ostile per dedicarsi completamente a convincere gli indecisi.

Il problema è che nessun candidato alla presidenza si può permettere di dichiararsi disinteressato all’opinione di quasi metà dell’elettorato americano senza sembrare un tantino cinico.

L’uomo colto di nascosto a dire queste cose iperboliche ai propri ricchi finanziatori pare un uomo d’affari colto nell’atto di dire qualsiasi cosa pur di portare a casa una vendita importante. Molti americani si saranno pure riconosciuti in lui, ma anche in questo caso il discorso non è parso molto presidenziale. 

4. E veniamo al terzo passo falso. Resosi conto della gaffe, Romney ha subito ritrattato dichiarando che in effetti la sua campagna si rivolge al 100% dell’elettorato americano.

C’è in rete un video inizialmente diffuso da Ron Paul in cui, grazie a un abile montaggio, si mostra come Romney sia capace di dire tutto e il contrario di tutto. Prima dice una cosa, poi ne dice un’altra. In inglese si dice ’flip-flopping’, qualcosa che sta a metà strada fra il voltagabbana e il rigirare la frittata alla bisogna. [http://www.youtube.com/watch?v=CUzEJiFpmsQ]

Non giova molto alla campagna che Romney prima dica una cosa, poi l’aggiusti, e quindi ne dica un’altra, subito smentita. L’impressione è che alla solida voce presidenziale di Obama si opponga la voce un tantino disperata di chi direbbe qualsiasi cosa pur di vincere.

E non è questo il modo migliore per vincere, come i sondaggi iniziano inesorabilmente a mostrare.