Obama è in ripresa nei sondaggi. L’economia è in affanno, ma la crisi non pare favorire il contendente repubblicano. Dalla sua Obama ha il sangue freddo e contro l'avversario gioca l’imperizia. È dunque Obama destinato a sortire una facile vittoria alle prossime elezioni il 6 novembre?
Difficile a dirsi. C’è infatti un elemento che all’ultimo minuto potrebbe contro il presidente in carica. Una certa parte della base elettorale democratica, quella più radicale, non è affatto soddisfatta di come sono andate le cose negli ultimi quattro anni. Molti di loro si erano illusi che Obama fosse molto più a sinistra di quanto non sia realmente. Senza contare che una certa parte dell’elettorato progressista si era recato alle urne quasi solo per la soddisfazione di eleggere il primo presidente “nero” della storia degli Stati Uniti. In circostanze diverse, molti di questi elettori sarebbero stati più inclini a votare per quei candidati minori che non hanno alcuna possibilità di vincere (e che all’estero nessuno sente mai nominare). O addirittura si sarebbero astenuti.
Ora che è in ballo la rielezione di Obama molti di loro nicchiano. Questo è particolarmente vero in quegli stati in cui la rielezione del presidente è sicura, come New York o la California. Molti di questi elettori potrebbero decidere di votare uno dei tanti candidati minori, o di non votare affatto sapendo che comunque, nel proprio Stato, il candidato repubblicano verrà sconfitto. Se la cosa dovesse assumere proporzioni di un certo tipo, e soprattutto se questo tipo di comportamento si estendesse a Stati dove il vantaggio di Obama è più ridotto, la vittoria del candidato democratico potrebbe essere molto meno certa di quanto non appaia dai più recenti sondaggi.
Gli ultimi dati mostrano infatti un elettorato nettamente diviso in due. Basta relativamente poco a spingere la vittoria in un lato o nell’altro.
Su The Atlantic, storico periodico della sinistra americana, è persino apparso un articolo a firma Conor Friedersdorf che spiega per filo e per segno perché è immorale votare per Barack Obama. In sostanza Obama, una volta eletto, invece di invertire corso avrebbe continuato in politica estera le politiche messe in atto da George W. Bush. Gli attacchi dei droni continuano a mietere innocenti vittime civili; si continuano ad uccidere persone in attacchi mirati al di fuori di ogni legittimo mandato; si è andati in guerra contro la Libia senza il consenso del Congresso.
Il sistematico tradimento dello spirito e della lettera della Costituzione americana da parte di Obama «va al di là della mia tolleranza per l’immoralità» conclude Friedersdorf. A chi obietta che Obama è comunque meglio di Romney, il giornalista risponde: «che se ne vadano al diavolo entrambi!» ("The hell with both of them!").
A questo va aggiunto che oggi, agli occhi di molti degli elettori delusi, il primo presidente “nero” non appare più neppure un vero afro-americano, ma un “bianco onorario”, il che gli crea difficoltà anche con una parte dell’elettorato di colore che in teoria dovrebbe votare per lui ad occhi chiusi.
C’è dunque una divisione fra liberals e radicals in America che assomiglia in una qualche misura alle divisioni interne di tutti gli elettorati di sinistra del mondo occidentale. L’elezione di Obama era avvenuta grazie alla loro inusuale convergenza. Oggi che questa convergenza va allentandosi, diventa giocoforza per Obama convincere il più alto numero possibile di “indipendenti” per poter vincere (per “indipendenti” nel lessico politico-elettorale americano, si intendono quei cittadini i quali nei sondaggi si dichiarano sostanzialmente intenzionati a partecipare al voto – likely voters – e alla domanda sull’autocollocazione politica non rispondono “democratico” o “repubblicano” bensì appunto “indipendente”; si tratta di una quota di elettori in forte crescita negli ultimi vent’anni, pari al 40 per cento circa del totale).
Ma qui si presenta un altro problema. Chi sarebbero questi “indipendenti”?
La settimana scorsa il popolarissimo programma televisivo Saturday Night Live ha ridicolizzato il mito secondo cui gli indipendenti sarebbero gli elettori più equilibrati, coloro che studiano bene tutte le carte prima di decidere razionalmente chi votare. La realtà dei fatti è che una buona parte dei cosiddetti “indipendenti” non saprebbero dire chi è l’attuale presidente, come si chiama il contendente, e che giorno si vota.
Come tutte le caricature umoristiche anche questa sarà frutto dell'esagerazione, ma qualcosa di vero c’è. Spesso si mitizza la terzietà razionale dell’indeciso, che non può che decidere prima di avere raccolto tutti i fatti e quindi aspetta fino all’ultimo minuto prima di prendere una qualsiasi decisione.
In realtà, recenti studi demoscopici mostrano come a dichiararsi indipendenti siano sempre di più gli elettori tendenzialmente repubblicani. Questi elettori pare che si vergognano a dichiararsi di parte davanti ai rilevatori, preferendo dare di sé l’immagine degli attori razionali.
La vera difficoltà di Obama oggi è quella di dover dire qualcosa di sinistra per ottenere il voto degli elettori più radicali e questo mentre deve dire molte più cose di centro per raccogliere i consensi degli indipendenti, un equilibrismo non facile.
Se esagera nel blandire la sinistra, Obama rischia di alienarsi il consenso labile degli indipendenti, mentre se esagera nel blandire il centro c’è il rischio che all’ultimo una certa parte del suo elettorato non vada a votare avendo la certezza che comunque Obama verrà eletto da qualcun altro.
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