1. Nel Primo Libro dei Re si racconta che al giovane Re Salomone, in occasione della incoronazione, Dio concesse di avanzare una richiesta. Che cosa chiese il giovane sovrano? Successo, ricchezza, una lunga vita, l’eliminazione dei nemici? Nulla di tutto questo: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male” (I Re, 3,9).

La politica deve essere un impegno per la libertà, ma per far ciò si deve garantire la giustizia, in modo da porre le basi per la convivenza tra i consociati. Naturalmente un politico cercherà il successo, senza il quale non potrebbe mai avere la possibilità dell’azione politica effettiva. Ma il successo è subordinato al criterio della libertà e della giustizia, alla volontà di attuare il diritto e all’intelligenza del diritto.

Il successo può essere anche una seduzione e così può aprire la strada alla contraffazione del diritto, alla distruzione della giustizia, all’inculcamento della libertà. “Togli il diritto – e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?” ha sentenziato Sant’Agostino (De Civitate Dei, IV, 4,1).

2. La Germania Nazista, la Russia Comunista e l’Italia Fascista hanno sperimentato il separarsi del potere dal diritto, il potere contro il diritto, il suo calpestarlo, così che lo Stato era diventato lo strumento per la distruzione del diritto – era diventato una banda di briganti molto ben organizzata, che poteva minacciare il mondo intero e spingerlo sull’orlo del precipizio. Ma in tutte queste manifestazioni di autoritarismo, come in altri esempi notevoli precedenti e successivi, una certa idea del diritto è sempre stata lo strumento per l’esercizio di un potere dispotico. Come notò, infatti, Piero Calamandrei con riguardo al regime fascista, la dittatura mussoliniana era edificata su un modello di diritto, con il corollario dell’esercizio del potere a esso funzionale, in grado di calpestare le guarentigie riconosciute dal regime liberale post-unitario.

A questi effetti, e come vedremo poi, la legge viene ad assumere un significato specifico (il diritto positivo), diverso e più ridotto rispetto al concetto di diritto nel senso qui proposto. Quest’ultimo concetto, infatti, si nutre di elementi diversi e in un certo senso estranei al mero dato positivo, poggiando le sue radici su quella dimensione storico-evolutiva che è propria della manifestazione giuridica (P. Grossi, L’ordine giuridico medievale).

Il Legislatore schmittiano è un perverso creatore del diritto, meglio il ricorso a quei principi stratificati nelle ere giuridiche dal lento e continuo lavorio dei precedenti giurisprudenziali e dall’opera di sistematizzazione della dottrina. Il diritto civile, in particolare, ha creato nei secoli una rete di “norme fondanti” che sono figlie della coscienza - o ragione - collettiva stratificata che forma il diritto vivente. Il diritto, inteso nel senso di legge nel suo divenire storico, assume le forme di un artificial reasoning, ossia una modalità di risolvere i conflitti secondo un determinato procedimento interpretativo, mai scevro da quel contenuto valoriale che alimenta il fenomeno giuridico.