Qui compaiono i due concetti fondamentali di natura e di coscienza, in cui “coscienza” non è altro che il “cuore docile” di Salomone, la Ragione aperta al linguaggio dell’Essere. Se con ciò fino all’epoca dell’Illuminismo, della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo la questione circa i fondamenti della legislazione sembrava chiarita, nell’ultimo mezzo secolo è avvenuto un drammatico cambiamento.

5. L’idea del diritto naturale è considerata oggi una dottrina cattolica piuttosto singolare, su cui non varrebbe la pena discutere al di fuori dell’ambito cattolico, così che quasi ci si vergogna di menzionarne anche soltanto il termine.

È prevalsa la tesi secondo cui tra “essere” e ”dover essere” ci sarebbe un abisso insormontabile. Il concetto positivista di natura e ragione, la visione positivista del mondo è nel suo insieme una parte grandiosa della conoscenza umana e della capacità umana, alla quale non dobbiamo assolutamente rinunciare. Ma essa stessa nel suo insieme non è una cultura sufficiente all’essere uomini in tutta la sua ampiezza.

Di questa limitazione insostenibile si sono ormai resi conto anche studiosi laici del diritto, Pierre Legendre proclama la necessità del ritorno alla vitam instituere come fondamento del diritto e sostiene che l’approccio positivista cancella la funzione stabilizzante degli istituti giuridici più remoti, delle regole giuridiche che trovano il loro fondamento nella natura antropologica dell’uomo (il matrimonio, l’incesto, la genealogia).

Nello stesso senso giungerà la riflessione di F. von Hayek in Law, Legislation and Liberty, cui si deve tributare il merito di aver definitivamente ridimensionata la tendenza a ridurre il diritto alla legge positiva, valutando, invece, i diversi elementi che ne determinano la struttura, l’interpretazione, l’azionabilità e la sua osservanza (scovando, poi, anche le regole non verbalizzate che agiscono
sottotraccia, inconsapevolmente).

6. Forzando la profonda e variegata natura del diritto nelle strette maglie della legge posta dall’autorità, il positivismo annichilisce il contributo che la cultura rende al diritto, relegando tutte le realtà culturali diverse dalla normazione allo stato di sottoculture. Così operando, essa riduce l’uomo, anzi, cancella la sua umanità. Tale concezione del diritto, veicolata soprattutto dalla giuspubblicistica – come ammonì lo stesso Gorla – conformò di sé buona parte della riflessione giuridica novecentesca: si pensi alla parabola di Hans Kelsen che abbandonò, proficuamente, le sponde del positivismo giuridico solo dopo il suo forzato trasferimento negli Stati Uniti.