La maggioranza parlamentare di un periodo storico relativamente breve difficilmente può riformare in meglio e con successo il diritto vivente. Anche la più puntuale tirannia della maggioranza non può che ambire a modificare la legge, o le leggi, di uno Stato. Ma il diritto come tale non si esaurisce nella legge, che rappresenta una semplice epifania dell’ethos di un popolo, che produce diritto con la sua tradizione, la sua cultura, le sue convenzioni sociali. Per dirla altrimenti: il diritto viene inteso, nel suo significato più alto, come intima forza morale del soggetto, vivo senso di indipendenza e di personalità, nutrita di storia e di tradizione: dignità, onore e orgoglio (Gorla, Il sentimento del diritto soggettivo in Alexis de Tocqueville).

3. Contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla Natura e alla Ragione quali vere fonti del diritto – all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva. Un’armonia che però presuppone che ambedue le sfere siano fondate nella Ragione creatrice di Dio (Tommaso d’Acquino, La legge, 1, II, questioni 90-105 in La Somma Teologica).

Nella prima metà del secondo secolo precristiano, si ebbe l’incontro tra il diritto naturale sociale sviluppato dai filosofi stoici e autorevoli maestri del diritto romano. La cultura giuridica occidentale (tuttora fondamentale nella cultura giuridica dell’umanità) nasce dal legame precristiano tra diritto e filosofia. Attraverso la sua elaborazione nel Medioevo cristiano si arriva allo sviluppo giuridico della Rule of Law inglese, dell’Illuminismo americano più che francese, fino alla Dichiarazione dei Diritti umani e fino alle costituzioni del secondo dopo guerra che, come la nostra hanno riconosciuto “i diritti inviolabili dell’uomo”. Tali riconoscimenti hanno sempre postulato la preesistenza della libertà del singolo rispetto alla struttura sociale. Nel far ciò prevaleva una ricostruzione di matrice prevalentemente razionalista, rispetto alla ricostruzione – assai più aderente all’evoluzione dei fatti –
propria dell’indirizzo storico.

4. Per lo sviluppo del diritto e per lo sviluppo dell’umanità è stato decisivo che i teologi cristiani abbiano preso posizione contro l’idea di un diritto religioso (oggi diremmo contro l’idea di un partito confessionale), richiesto dalla fede nelle divinità, e si siano messi dalla parte della filosofia, riconoscendo come fonte giuridica valida per tutti la ragione e la natura nella loro correlazione.

Questa scelta l’aveva già compiuta San Paolo, quando, nella sua Lettera ai Romani, afferma: “Quando i pagani, che non hanno la Legge [la Torà di Israele], per natura agiscono secondo la Legge, essi… sono legge a se stessi. Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza” (Rm 2,14s).