1. Se si rivedono le immagini in bianco e nero del trionfo di Charles Lindberg per le vie di New York del 1927, non si può non pensare alla portata dell’impresa compiuta e, soprattutto, alla valenza simbolica e innovativa che quella trasvolata portava con sé.
Qualche anno dopo, nel 1929, il crack finanziario metterà sottosopra il mondo intero, le cui conseguenze drammatiche sono descritte nel romanzo che meglio ha incarnato la grande depressione, “Furore” di John Steinbeck. Ripensando proprio a quel libro straordinario, si ha ancora oggi la sensazione di un mondo entrato in un tunnel, un imbuto che andava restringendosi sempre di più.
Due esempi, se vogliamo molto americani, ma che offrono l’occasione di una semplice e rapida riflessione su eventi del secolo scorso che al loro interno presentano tratti di forte attualità.
Oggi ci troviamo con Lindberg sull’aereo pronto a partire verso Parigi dal Roosevelt Field di New York, oppure siamo al martedì nero dell’ottobre 1929?
La sensazione è di vivere la seconda condizione e che soprattutto versano in questa situazione le nuove generazioni, con tutte le ovvie conseguenze che ciò comporta. Sui giovani grava maggiormente l’onere della propulsione al rinnovamento che fatica invece ad avviarsi: per una chiusura della nostra società in affanno e per la mancanza della volontà di innovare.
Quello di non dare futuro ai giovani è un peso che la Nazione si trascina dietro da troppo tempo. Chi oggi si trova ai banchi di partenza vede davanti a sé un percorso ad ostacoli: le prospettive di successo e di carriera appaiono certamente compresse e questa “azione di restringimento”, agganciata alla crisi finanziaria che probabilmente ha radicalizzato le tendenze più conservatrici della nostra, già immobile, società, tende a rendere nulla la spinta di chi dovrebbe avere la forza di
cambiare e reagire subito alla crisi in atto.
Ma la crisi che ormai pare avere contagiato ogni attività economica può scatenare le energie necessarie per ritrovare lo spirito incarnato dalla prima trasvolata atlantica.
Una prima e immediata risposta, va ricercata nell’affermazione concreta del principio meritocratico e nella ricerca e affermazione di una “spinta liberale”.
Non è banale dirlo: per troppo tempo relegata agli ultimi posti dei valori di riferimento della società, la meritocrazia deve essere collocata in testa a tutto.
Senza di essa un sistema sociale non può progredire e ne abbiamo ormai la prova schiacciante. Solo la meritocrazia consente il ricambio generazionale in senso virtuoso, in quanto stimola la naturale competizione, mettendo in circolazione la parte migliore della preparazione che ciascuno sviluppa nel corso della propria esistenza. Senza la meritocrazia una nazione muore e lo fa indipendentemente dalla crisi finanziaria: anzi, in momenti come questi la società rischia di smarrirsi proprio perché non ha al suo interno gli anticorpi, generati dall’applicazione del principio del merito, che la aiuterebbero a dare impulso alla rinascita.
Si pensi, ad esempio, alla cosiddetta “fuga dei cervelli”, al sistema baronale, ai fenomeni di nepotismo, alle difficoltà che si incontrano nell’avviare le attività imprenditoriali: alcuni tra i tanti problemi ci trasciniamo da anni, che causano e generano al contempo le note inefficienze del nostro Paese.
Anche se non nel breve periodo, una realtà più competitiva e meritocratica consentirà una progressione virtuosa della società e che soprattutto renderà più rapida la risposta alla crisi.
La questione è soprattutto culturale: una svolta realmente liberale deve oggi passare, in prima istanza, nella modificazione dei rapporti tra le persone e l’autorità pubblica, che deve essere meno “ingombrante”, non solo autoritaria e punitiva, ma anche e soprattutto di aiuto nel sostenere la libera impresa e l’iniziativa di chi intraprende nuove attività.
La crescita è ai primi posti nell’agenda del nuovo governo. Ma per realizzarla occorre che l’esecutivo realizzi l’obiettivo di “rinsaldare le relazioni civili ed istituzionali fondandole sul senso dello Stato”, come ha detto il Premier in Senato. Il governo ha una mission finanziaria, decisamente impegnativa, ma non può fermarsi a quella: deve offrire una prospettiva meritocratica e liberale con riforme che diano fiducia soprattutto ai giovani. Il fatto che sia un esecutivo di forte estrazione universitaria fa ben sperare, perché i “ministri professori” conoscono da vicino chi si prepara per entrare nel mondo del lavoro, con idee e progetti nuovi da realizzare.
Non c’è altra alternativa che questa, anche se le nubi della crisi sono sempre grigie e dense. Del resto, Lindberg decollò in una giornata di pioggia.
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