Negli ultimi mesi, anche in risposta al successo elettorale della Lega nelle regioni del Nord, ha ripreso fortemente corpo il dibattito sulle misure di rilancio per il Mezzogiorno. Il tema è di primaria importanza per almeno tre ragioni: molti problemi del Sud rimangono tuttora largamente irrisolti, gli squilibri di natura economica e fiscale tra Nord e Sud rischiano di creare ulteriori tensioni e, non da ultimo, il rilancio del Mezzogiorno è fondamentale per contribuire al rilancio del paese nel suo complesso.
Per poter seguire in maniera più strutturata il dibattito abbiamo individuato quattro temi attorno ai quali si sta orientando la discussione. Li commentiamo brevemente, con l'impegno di seguirne gli sviluppi nel corso dell'anno. Per tutti vale un'osservazione di fondo: per affrontare gli squilibri Nord-Sud sarebbe auspicabile una soluzione federalista articolata che, correlando maggiormente (fatti salvi i trasferimenti perequativi che si ritengano necessari) le risorse al territorio, spinga gli amministratori locali a quella maggiore responsabilizzazione di cui sopra e faccia da volano affinché le potenzialità locali vengano veramente sfruttate. La strada verso il federalismo che sta percorrendo il governo è in fase di definizione da lungo tempo e tuttora mancano troppi elementi per poter esprimere giudizi compiuti su quali saranno gli effetti economici e di finanza pubblica.
Gabbie salariali o salari differenziati per produttività?
Rilanciata dalla Lega, anche come risposta politica alle richieste di attenzione da parte della classe politica meridionale, l'idea di varare meccanismi quali le gabbie salariali appare quanto meno poco centrata sul problema vero. Il costo della vita non è un fenomeno esogeno e, a ben vedere, influenza indirettamente (via spostamenti della curva di offerta di lavoro) la determinazione dell'equilibrio sul mercato del lavoro. Se la vita costa di più in certe zone è perché la domanda per vivere nelle zone in questione è più elevata, e modificare ulteriormente i prezzi di equilibrio costringendo artificialmente i salari entro certi limiti creerebbe solo distorsioni rispetto ai prezzi raggiunti sul mercato. L'applicazione delle gabbie salariali sarebbe inoltre soggetta a numerosi problemi tecnici:
- quale livello territoriale si dovrebbe prendere in considerazione: le regioni, le province? Come includere nel calcolo salariale altri fattori che influenzano i prezzi (differenze tra zone urbane e non, tra zone turistiche e non, eccetera)?
- come assicurare una misurazione veritiera dei prezzi a livello locale, considerando gli evidenti incentivi a dichiarare prezzi maggiori di quelli effettivi che un tale meccanismo genererebbe?
Più proficuo sarebbe permettere, e incentivare, gli elementi di contrattazione a livello aziendale. Questo consentirebbe di ottenere diversi risultati, tutti ugualmente utili:
- adattare i salari reali alla produttività dell'azienda e incentivare così lo sviluppo dei settori più produttivi (permettendo eventualmente ad aziende attive in settori meno produttivi di sopravvivere grazie a un minore costo del lavoro);
- slegare la questione salariale da un concetto di area predeterminato (regioni, province, aree concordate con i sindacati come quelle in vigore con le «vecchie» gabbie salariali) e renderla automaticamente coerente con la realtà in cui opera l'azienda. L'effetto finale sarebbe probabilmente e comunque una certa differenziazione Nord-Sud; ma sarebbe una differenziazione destinata a scemare a fronte di riduzioni nel gap di produttività.
Rimane aperta la questione su come trattare i salari dei dipendenti pubblici. Soluzioni tecniche possono prospettarsene diverse; probabilmente, però, una gestione maggiormente decentralizzata delle risorse pubbliche che permetta agli enti locali di determinare autonomamente i salari (e considerando, tra gli altri fattori, il livello dei prezzi nella regione e la produttività media dei propri dipendenti) sarebbe la soluzione più diretta ed efficace.
Controllo della spesa pubblica e bailout degli enti locali
Un sistema di gestione della spesa pubblica maggiormente decentralizzato presuppone l'esistenza di regole certe e rispettate sui meccanismi allocativi dei fondi. In particolare:
- è imprescindibile che si interrompa il meccanismo per cui vengono stabiliti budget sanitari volutamente ambiziosi (per motivi di ingegneria contabile) salvo poi ricorrere a (più o meno sistematici) ripiani ex post. Tale sistema può funzionare, pur in modo imperfetto, in un regime centralizzato, in cui il governo alloca le risorse e raccoglie le imposte; e infatti la spesa sanitaria è rimasta, finora, sostanzialmente sotto controllo da un punto di vista macro. Non cambiare la prassi nel momento in cui vengono concesse maggiori autonomie di gestione alle regioni rischia però di rendere del tutto inutili eventuali regole per la determinazione dell'allocazione dei fondi (es.: basati sui costi standard);
- la stessa cosa vale per quanto riguarda gli enti locali: il ripiano dei bilanci di alcuni comuni ed enti locali rischia di aprire la strada a nuove richieste, favorendo gli enti maggiormente inefficaci e incapaci di rispettare i propri vincoli di bilancio.
Cassa per il Mezzogiorno e Banca del Sud
Carenza di infrastrutture e scarsità di investimenti sono nodi strutturali del Sud Italia. Il problema è come realizzare le prime e incentivare i secondi.
Sul lato delle infrastrutture, la precedente esperienza della Cassa per il Mezzogiorno ha dato risultati deludenti. Tornare a qualcosa di simile rischia di non essere risolutivo, anche perché la carenza di fondi non è l'unico dei problemi (basti pensare ai fondi europei che costantemente vengono persi per l'incapacità da parte delle amministrazioni locali di formulare progetti in maniera strutturata).
L'accesso al credito è fondamentale per lo sviluppo dell'imprenditoria sul territorio. Non si vede però come l'istituzione di una Banca del Sud, per volontà del governo, possa contribuire alla soluzione del problema. Creare condizioni per la nascita, l'attrazione e lo sviluppo di imprese nel Mezzogiorno, eventualmente determinare sgravi fiscali per le imprese che vi investono, sono i metodi per attivare un circolo virtuoso e convincere le banche (locali o no) a concedere credito sul territorio. Una banca nata per volere governativo non può essere che il frutto di sussidi e aiuti, come confermato dalla partecipazione della Cassa Depositi e Prestiti in qualità di socio minoritario prevista nel disegno del Ministero dell'Economia.
Il Partito del Sud
La paventata nascita del Partito del Sud, che ha dato origine a molte delle discussioni attorno ai temi sopra riportati, non costituisce un elemento positivo nella partita del Mezzogiorno per lo sviluppo.
La Lega Nord ha riscosso un forte successo nelle ultime elezioni, e questo può aver indotto i politici delle regioni meridionali a ritenere necessaria la speculare nascita di una formazione politica propria. Ma il Partito del Sud non sarebbe il corrispondente della Lega. Se quest'ultima sostiene l'autodeterminazione delle differenti regioni, nel dibattito sulla nascita del Partito del Sud sono state di gran lunga preponderanti le recriminazioni circa la mancata attenzione del governo centrale alle tematiche del Mezzogiorno. La penuria di fondi non è, però, la causa principale dei mali del Sud, e la creazione di un partito che miri all'attrazione di fondi dal centro (e alla gestione delle relative rendite politiche derivanti dal loro utilizzo) non può che nuocere a una parte del paese già vittima di gestioni clientelari ed eccesso di controllo delle risorse da parte dei politici. Se ne sono accorti gli esponenti più illuminati, appartenenti alle classi produttive del Mezzogiorno, che hanno compreso che regole nuove e rispettate e un cambio di mentalità della classe dirigente possono contribuire allo sviluppo del Sud ben più di molti fondi FAS.
© Riproduzione riservata