Il dato storico ci consente un confronto puramente intellettuale con i giorni che adesso ci accompagnano, con la crisi finanziaria che ha stretto l’Italia nella morsa che conosciamo e con la formazione di un governo tecnico, su impulso del Presidente della Repubblica, che sta realizzando riforme e tassazioni che hanno sapore emergenziale e che dichiaratamente sono state prese per tenere lontana una crisi drammatica.
Non è in discussione, ovviamente, il quadro democratico in cui si è mossa la scelta istituzionale, ma più che nel caso di altri governi tecnici del passato, questa situazione ha posto l’accento su un’inefficienza del nostro sistema politico - che si può definire storica (posto che certamente alcuni gravi pesi di oggi non sono di recente formazione) - rispetto alla concreta capacità di saper governare il Paese anche in una situazione di grave emergenza. In altre parole, il sistema politico avrebbe dovuto avere la capacità politica e decisionale di sapere affrontare una situazione di crisi e di porre in essere le misure necessarie senza ricorrere al criterio dettato dall’emergenza, ossia il timore di una prossima e irreversibile catastrofe.
Pur di fronte alla grave situazione internazionale che viviamo, l’attuale “commissariamento” della politica parla invece di fallimento della stessa e della sua resa.
Qui non si vuole entrare nella polemica se dopo le dimissioni di Berlusconi fosse il caso o meno di imboccare la strada delle elezioni anticipate, e anzi si può dire che, date le condizioni, la scelta operata dal Capo dello Stato probabilmente è stata la migliore. Si vuole, invece, porre il problema di come si potrà uscire da questo “commissariamento” politico, riprendendo un dibattito che fino a poco tempo fa sembrava non essere nelle condizioni di risolvere la contingenza drammatica del Paese.
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