Nel bel libro di Gianni Granzotto “Annibale” si sostiene che ci separano dal condottiero cartaginese circa 60 generazioni, che non sono poi molte. “Hannibal ad portas” (Annibale alle porte), ossia la fine incombente di Roma repubblicana, era il grido di terrore che ci viene consegnato da quell’epoca di grande paura.
Il pensiero successivo va quasi automaticamente alla figura che Roma aveva messo in campo per contrastare l’emergenza militare e il rischio della fine della civiltà rappresentati da Annibale, vale a dire il dictator, nel caso nostro Quinto Fabio Massimo, passato alla storia come il temporeggiatore.
Si legge in un testo classico “Storia di Roma”, Editori Riuniti, di Sergej Ivanovic Kovaliov che “la dittatura era una magistratura di carattere temporaneo e straordinario. Ad essa si ricorreva solamente in casi speciali, quando lo Stato era minacciato da un estremo pericolo a causa di nemici esterno o disordini interni. Di regola, la decisione di nominare il dittatore spettava al senato e, alla procedura di nomina, presenziava uno dei consoli. Il dittatore, a sua volta si sceglieva un aiutante, capo della cavalleria. I poteri del dittatore duravano non più di sei mesi; dopo di che egli doveva cessare dalla carica. Il dittatore riuniva i poteri militari e civili, ma solo per il periodo di tempo stabilito per il suo compito. Gli altri funzionari rimanevano in carica anche durante la dittatura svolgendo il lavoro di ordinaria amministrazione”.
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