1. Il triennio 2009-2011 segna una tappa importante nei rapporti bilaterali tra Italia e Cina. Da una parte, si è assistito a un rapido intensificarsi delle relazioni politiche ed economiche; dall'altra, gli anniversari celebrati nel 2010 (il quarantennale dalla normalizzazione delle relazioni bilaterali) e nel 2011 (il 150° anniversario dell'Unità d'Italia e il 90° della fondazione del Partito comunista cinese) stimolano riflessioni sia retrospettive, sia prospettiche.

Oltre alla genealogia culturale di antichissimo lignaggio (Roma e Pechino possono vantare cinquemila anni di storia), ciò che conferisce peculiarità ai legami tra i due Paesi è la dimensione interattiva dello scambio. È osservando il perpetuarsi nell'attualità di una storica dinamica di scambio di beni – privati e pubblici – che si coglie come la portata complessiva delle relazioni tra Italia e Cina trascenda le mere interazioni tra l'ottava e la seconda economia del mondo.

Non è un caso se, tra le centinaia di bassorilievi che adornano il Monumento per il Millennio (中华世纪坛, zhonghua shijitan), le uniche due scene a contenere personaggi stranieri riguardano i mitici incontri del commerciante Marco Polo (1254-1324) con la Cina di Khubilai Khan (1215-1294), e del missionario gesuita P. Matteo Ricci (1552–1610) con l'impero Ming di Wan Li (萬曆, 1573–1620). Benché si tratti di rappresentazioni simboliche, esse riflettono il ruolo giocato da molti italiani ante litteram nel promuovere forme precoci di globalizzazione, facilitando nei secoli il contatto tra gli universi culturali cinese ed europeo. Mentre navi veneziane e genovesi consentivano di collegare all'Europa i più avanzati circuiti commerciali sino-arabici, padri gesuiti marchigiani, trentini e lombardi aprivano un confronto con le élite culturali cinesi in campo tecnico, matematico, astronomico, geografico, storico, metodologico e artistico, sfiorando i prodromi di quella modernità che due secoli dopo avrebbe portato allo scomporsi e ricomporsi della Cina in una dinamica tuttora in corso.

Oggi, sulla scia di un processo di globalizzazione catalizzato dalle moderne tecniche e tecnologie della produzione, dei trasporti e della comunicazione, l'effetto trasformativo delle nuove dinamiche di scambio tra RPC (Repubblica Popolare cinese) e Italia si riverbera su strati ben più ampi delle due società. Gli effetti sono molteplici, investendo tanto il sistema produttivo, quanto le abitudini di consumo dei due popoli, con conseguenze indirette sui meccanismi di costruzione di identità e di percezione del mondo proprie di cittadini la cui soggettività è sempre più funzione dalla libertà di consumare.

2. Nel caso di Cina e Italia il rapporto è reso peculiare da tre fattori fondamentali e due dinamiche specifiche. I primi sono costituiti dalla presenza – tanto nell'economia cinese quanto in quella italiana – di un forte settore manifatturiero, di una spiccata dipendenza dall'export e di una diffusa concentrazione su produzioni a contenuto tecnologico relativamente modesto. Le dinamiche che si sono sviluppate su questi fondamentali possono essere definite come di competizione asimmetrica e asincronia delle opportunità.


Se la Cina è notoriamente divenuta la "fabbrica del mondo" nell'arco degli ultimi vent'anni, con un incidenza del settore manifatturiero sul PIL pari al 34% (dati 2009), anche l'Italia mantiene un'analoga vocazione: il 16% del valore aggiunto sul totale del PIL italiano è di origine manifatturiera, la seconda percentuale più alta tra le economie europee più avanzate, dopo la Germania (19%). Questa produzione gioca un ruolo fondamentale: se l'export manifatturiero cinese ha superato quello tedesco per ottenere il primato mondiale nel 2009 (9,6% sul totale), l'Italia rimane in settima posizione (3,2%) e si conferma nel 2010 il terzo Stato europeo per esportazioni extra UE (10,7% del totale dell'Unione). Per la grande maggioranza, non si tratta di esportazioni ad alto contenuto tecnologico: nel 2009 soltanto l'8% dell'export italiano poteva essere così qualificato, una proporzione eccezionalmente piccola rispetto alla media dei paesi OCSE. Nell'ultimo trentennio, l'Italia ha seguito una traiettoria anomala tra i Paesi avanzati: anziché facilitare una transizione verso nuove produzioni ad alta intensità di tecnologia e capitale umano mediante investimenti in ricerca e sviluppo, l'economia nazionale ha per lo più continuato a specializzarsi nei settori merceologici tradizionali.

3. Dati simili presupposti, era inevitabile l'instaurarsi di una precoce dinamica competitiva, con conseguente spiazzamento delle imprese italiane. Specie dopo il suo ingresso nell'Organizzazione Mondiale del Commercio (2001), la RPC ha radicalmente mutato le dinamiche commerciali globali, a partire da settori ad alta intensità di manodopera poco specializzata. L'effetto è stato un netto calo prima del valore (anni '90) e poi dei volumi (prima metà degli anni '2000) delle esportazioni manifatturiere italiane. La pressione dell'export cinese è stata percepita in tutto l'arco dei settori tradizionali portanti della produzione italiana: tra il 2001 e il 2010 la quota di mercato italiana del settore tessile è calata dall'8,70% al 6,62% (a fronte di una crescita cinese dal 18,62% al 36,74%), in quello del mobilio è scesa dal 14,71% all'8,78% (contro un incremento cinese dal 7,82% al 28,32%), in quello della meccanica è passata dal 6,97 al 6,33 (rispetto all'aumento cinese dal 3,92 all'11,02). Nel complesso, la pressione concorrenziale delle merci cinesi è significativa in tutti i mercati della zona OCSE e in quelli dei paesi emergenti, l'insieme dei quali costituisce la destinazione di circa l'85% delle esportazioni italiane.

Questa dinamica competitiva è caratterizzata da una asimmetria strutturale. I principali elementi che la costituiscono sono la diversa flessibilità della politica monetaria (finalizzata al controllo dell'inflazione in Europa, alla crescita in Cina); la struttura disomogenea dei vantaggi comparati nella produzione (basti pensare ai diversi costi dei fattori di produzione in Cina rispetto all'Italia); la differente prassi di governance delle imprese (sovente controllate dallo Stato in Cina, con conseguente alterazione dei meccanismi di accesso al credito, responsabilità legale, ecc).


Su questi aspetti strutturali si innestano fattori che hanno generato fenomeni di asincronia delle opportunità rispetto all'interscambio commerciale e ai flussi di investimento bilaterali. La lunga fase di centralità del settore manifatturiero cinese orientato all'export, finanziata da cospicui investimenti (a discapito dei redditi dei cittadini cinesi) e imperniata su produzioni a basso valore aggiunto o assemblaggio di semilavorati d'importazione (1984-2008), ha indotto un differimento delle opportunità per gli esportatori stranieri, a fronte dei vantaggi di scala e di prezzo su cui l'economia cinese ha capitalizzato. Oltre allo spiazzamento delle imprese italiane sui principali mercati, l'aspetto più evidente è il notevole squilibrio nella bilancia commerciale bilaterale, che presenta un divario crescente dall'inizio dello scorso decennio. Nel 2010 il saldo commerciale è risultato passivo per oltre 17 miliardi di euro a sfavore dell'Italia, con un trend che non pare destinato a correzioni significative nonostante le dichiarazioni d'intenti delle due parti.

4. L'Italia non ha potuto né saputo trarre vantaggio dalle opportunità offerte dall'economia cinese. L'asincronia è stata resa inevitabile dal fatto che settori determinanti dell'economia nazionale (produzione ed export del made in Italy) non erano in condizione di trovare uno sbocco significativo in un mercato ancora modesto in fatto di dimensioni e acerbo quanto a stili di consumo. Nel 2010 la RPC – destinataria di un già modesto 2,54% dell'export complessivo italiano – intercettava soltanto l'1,63% del totale delle esportazioni di made in Italy nel mondo. Se, in media, il made in Italy ha contribuito per il 40,46% dell'export globale italiano nel 2010, nel caso delle esportazioni destinate alla Cina il peso percentuale sul totale è stato del 26,02%. Pertanto, mentre l'Italia è divenuta il decimo importatore al mondo di beni cinesi (2% dell'export cinese complessivo), è riuscita a posizionarsi soltanto in ventesima posizione come esportatore verso la RPC, catturando l'1% del mercato cinese nel 2010. Per la maggior parte si tratta di beni d'investimento, in particolare la meccanica industriale, che pesa per il 48,84% dell'export italiano verso la Cina.

Questa limitata risposta alle opportunità offerte dalla Cina si spiega con i problemi dimensionali delle imprese, la carenza di canali di grande distribuzione di bandiera, la scarsa propensione a operare secondo logiche di sistema-Paese, una matrice socio-culturale poco propensa a interagire con universi culturali nuovi. Chiara manifestazione di questi ostacoli è il limitato dinamismo con cui le imprese italiane hanno investito e/o delocalizzato parte della propria attività nella RPC, l'altra faccia dell'opportunità rappresentata dalla Cina in questa fase. Secondo il Ministero del Commercio cinese, nel 2008 lo stock di investimenti italiani nel territorio cinese era pari a 4,348 miliardi di dollari.


Un dato che, se rapportato al complesso degli investimenti italiani all'estero per il medesimo anno (404,855 miliardi), ha un peso pari all'1,07%. Una percentuale su cui riflettere, posto che, in termini assoluti, l'Italia non è un piccolo investitore, (il 12° al mondo per stock nel 2008, il 10° nel 2009): infatti, essa rappresenta appena lo 0,48% del totale dello stock di investimenti stranieri nella RPC, rispetto all'1% della Francia, all'1,68% della Germania e all'1,75% del Regno Unito.

5. L'orizzonte delle relazioni commerciali bilaterali è però destinato a evolvere, perché il recente piano quinquennale varato da Pechino prevede la transizione dell'economia cinese verso un assetto maggiormente sostenuto dalla domanda interna. Al di là di eventuali interventi finanziari ad hoc, è proprio dalla liberazione dell'enorme potenziale di consumo represso dei cinesi che può venire il contributo più strutturale della Cina per il superamento della crisi che dal 2008 attanaglia Usa ed Europa. Nella logica dell'asincronia di opportunità che ha caratterizzato i rapporti commerciali tra Italia e RPC, il successo della trasformazione del sistema economico e di Welfare cinese aprirebbe una finestra di opportunità del tutto inedita. Secondo proiezioni del Centro studi di Confindustria, il consumo privato nella RPC potrebbe crescere nel volgere di un quinquennio dal 36% del PIL registrato nel 2010 al 45%, toccando il 50% alla fine del decennio.

Ne conseguirebbe un aumento esponenziale del consumo da parte del segmento più benestante della società cinese, che passerebbe da 981 miliardi di dollari nel 2010 (il 2,6% del totale del consumo mondiale) a 2.442 miliardi nel 2015 (5,4%), a 5.575 miliardi nel 2020 (oltre il 10% del totale mondiale). L'ormai ex Istituto per il Commercio Estero stima in oltre 120 milioni i "nuovi ricchi" che popoleranno il mercato globale entro il 2015, il 32% dei quali saranno localizzati nella RPC, soprattutto nelle province costiere. Questo dato, unito al ruolo sempre più centrale delle donne nelle società dei paesi emergenti, costituisce un'opportunità in particolare per il "lusso accessibile": prodotti dei settori alimentare, arredamento, calzature, abbigliamento e accessori realizzati con materiali di qualità e design, al netto della fascia del lusso più elevata. Il consumo di questo genere di beni, pari al 14% dell'export italiano, è previsto in espansione di circa il 46% in prezzi costanti tra il 2009 e il 2015, una crescita trainata per metà da paesi non-OCSE, Cina in testa.

6. L'auspicio è, dunque, che l'agenda per la crescita del Governo Monti non trascuri azioni che favoriscano il consolidamento dimensionale delle imprese (meno enfasi sulle piccole e micro, e più sulle medie), la facilitazione – anche attraverso riformati canali istituzionali – della loro proiezione verso Paesi "complessi" come la Cina, lo stimolo di una cultura della formazione universitaria integrata al servizio di operatori internazionali d'impresa già esposti alle logiche del mercato globale durante il percorso di studi.

Un'agenda troppo ambiziosa? No: "Anche un viaggio di mille miglia inizia con un passo", diceva Lao Tse, e le dinamiche appena descritte sono ancora in fase di maturazione in Cina.

Non arrivare di nuovo troppo tardi è possibile, volendolo.