Su questi aspetti strutturali si innestano fattori che hanno generato fenomeni di asincronia delle opportunità rispetto all'interscambio commerciale e ai flussi di investimento bilaterali. La lunga fase di centralità del settore manifatturiero cinese orientato all'export, finanziata da cospicui investimenti (a discapito dei redditi dei cittadini cinesi) e imperniata su produzioni a basso valore aggiunto o assemblaggio di semilavorati d'importazione (1984-2008), ha indotto un differimento delle opportunità per gli esportatori stranieri, a fronte dei vantaggi di scala e di prezzo su cui l'economia cinese ha capitalizzato. Oltre allo spiazzamento delle imprese italiane sui principali mercati, l'aspetto più evidente è il notevole squilibrio nella bilancia commerciale bilaterale, che presenta un divario crescente dall'inizio dello scorso decennio. Nel 2010 il saldo commerciale è risultato passivo per oltre 17 miliardi di euro a sfavore dell'Italia, con un trend che non pare destinato a correzioni significative nonostante le dichiarazioni d'intenti delle due parti.

4. L'Italia non ha potuto né saputo trarre vantaggio dalle opportunità offerte dall'economia cinese. L'asincronia è stata resa inevitabile dal fatto che settori determinanti dell'economia nazionale (produzione ed export del made in Italy) non erano in condizione di trovare uno sbocco significativo in un mercato ancora modesto in fatto di dimensioni e acerbo quanto a stili di consumo. Nel 2010 la RPC – destinataria di un già modesto 2,54% dell'export complessivo italiano – intercettava soltanto l'1,63% del totale delle esportazioni di made in Italy nel mondo. Se, in media, il made in Italy ha contribuito per il 40,46% dell'export globale italiano nel 2010, nel caso delle esportazioni destinate alla Cina il peso percentuale sul totale è stato del 26,02%. Pertanto, mentre l'Italia è divenuta il decimo importatore al mondo di beni cinesi (2% dell'export cinese complessivo), è riuscita a posizionarsi soltanto in ventesima posizione come esportatore verso la RPC, catturando l'1% del mercato cinese nel 2010. Per la maggior parte si tratta di beni d'investimento, in particolare la meccanica industriale, che pesa per il 48,84% dell'export italiano verso la Cina.

Questa limitata risposta alle opportunità offerte dalla Cina si spiega con i problemi dimensionali delle imprese, la carenza di canali di grande distribuzione di bandiera, la scarsa propensione a operare secondo logiche di sistema-Paese, una matrice socio-culturale poco propensa a interagire con universi culturali nuovi. Chiara manifestazione di questi ostacoli è il limitato dinamismo con cui le imprese italiane hanno investito e/o delocalizzato parte della propria attività nella RPC, l'altra faccia dell'opportunità rappresentata dalla Cina in questa fase. Secondo il Ministero del Commercio cinese, nel 2008 lo stock di investimenti italiani nel territorio cinese era pari a 4,348 miliardi di dollari.